Il dormitorio maschile era abbandonato. Nel posto non c'era un'anima. Teddy salì nella sua stanza, appese l'impermeabile nell'armadio e cercò una traccia qualsiasi che gli dicesse che Chuck era tornato lì, ma non ne trovò.

Pensò di sedersi sul letto, ma sapeva che, se l'avesse fatto, si sarebbe addormentato e non si sarebbe svegliato fino all'indomani mattina, così andò giù al bagno, si spruzzò dell'acqua fredda in faccia e si pettinò i capelli a spazzola. Aveva le ossa dolenti e il suo sangue sembrava denso come miele; aveva gli occhi infossati e rossi ed era pallidissimo. Si buttò in faccia qualche altra manata di acqua fredda, poi si asciugò e uscì nel complesso principale.

Non c'era nessuno.

L'aria si stava riscaldando, facendosi umida e appiccicosa, e i grilli e le cicale avevano dato inizio al loro canto. Teddy camminò intorno all'edificio, sperando che Chuck fosse arrivato prima di lui e stesse facendo la stessa cosa, vagabondare in giro nella speranza di imbattersi nel suo compagno.

C'era la guardia al cancello e Teddy poteva vedere le luci accese nelle stanze ma, a parte questo, il posto era deserto. Raggiunse l'ospedale, salì i gradini e strattonò la porta, solo per scoprire che era chiusa a chiave. Udì un cigolio di cardini e guardò fuori: la guardia aveva aperto il cancello ed era uscita dal gabbiotto per raggiungere il suo compagno dalla parte opposta e, quando il cancello si richiuse, Teddy sentì le sue scarpe grattare sul cemento mentre si allontanava dalla porta.

Si sedette sui gradini per qualche minuto. La teoria di Noyce si stava rivelando fasulla. In quel momento, al di là di ogni possibile dubbio, Teddy era completamente solo. Chiuso dentro, sì. Ma, a quanto poteva vedere, nessuno lo stava tenendo d'occhio.

Camminò di nuovo fino al retro dell'ospedale e il petto gli si riempì di sollievo quando vide un inserviente seduto sui gradini a fumare una sigaretta.

Teddy si avvicinò e il ragazzo, un giovane nero e sottile, sollevò lo sguardo su di lui. Teddy si tolse una sigaretta dalla tasca e chiese: «Hai da accendere?».

«Certo.»

Teddy si sporse in avanti mentre il ragazzo gli accendeva la sigaretta, lo ringraziò con un sorriso e si ricordò di quello che la donna gli aveva detto sulle loro sigarette: lasciò uscire lentamente il fumo dalla bocca senza inalare.

«Come va stasera?» domandò.

«Tutto a posto, signore. E lei?»

«Tutto okay. Dove sono tutti quanti?»

Il ragazzo indicò con un cenno alle sue spalle. «Là dentro. Una grossa riunione. Non so su che cosa.»

«Tutti i dottori e le infermiere?»

Il ragazzo annuì. «Anche qualcuno dei pazienti. E la maggior parte di noi inservienti. Io sono rimasto incastrato con questa porta perché il chiavistello non funziona molto bene. A parte questo, però, sì. Sono tutti là dentro.»

Teddy fece un altro tiro dalla sigaretta senza respirare il fumo, sperando che il ragazzo non se ne accorgesse. Si domandò se sarebbe riuscito a bluffare abbastanza da salire fino alla porta, sperando che il ragazzo l'avesse scambiato per un altro inserviente, magari uno del padiglione C.

Poi, attraverso la finestra alle spalle del ragazzo, vide che il corridoio si stava riempiendo e che tutti si stavano dirigendo verso l'uscita.

Ringraziò il ragazzo per il fuoco e girò intorno all'edificio. Trovò una piccola folla che si intratteneva a piccoli gruppi, parlando e fumando sigarette. Vide l'infermiera Marino dire qualcosa a Trey Washington, mettendogli una mano sulla spalla mentre parlava; Trey gettò la testa all'indietro e rise.

Teddy iniziò a camminare verso di loro quando Cawley lo chiamò dalla cima delle scale. «Agente!»

Teddy si voltò. Cawley scese le scale e si diresse verso di lui, gli sfiorò il gomito e cominciò a camminare verso il muro.

«Dove si era cacciato?» domandò Cawley.

«Ho fatto un giro. Ne ho approfittato per dare un'occhiata alla sua isola.»

«Davvero?»

«Davvero.»

«Ha trovato niente di divertente?»

«Topi.»

«Be', certo, ne abbiamo a migliaia.»

«Come procede la riparazione del tetto?» chiese Teddy.

Cawley sospirò. «Ho dei secchi sparsi per tutta la casa per raccogliere l'acqua che sgocciola. La soffitta è andata, completamente distrutta. Come il pavimento della stanza degli ospiti. Mia moglie non la prenderà bene. Il suo vestito da sposa era in soffitta.»

«Dov'è sua moglie?» chiese Teddy.

«A Boston» rispose Cawley. «Abbiamo un appartamento, lì. Lei e i bambini avevano bisogno di staccare un po', così si sono presi una settimana di vacanza. A volte questo posto dà sui nervi.»

«È vero: sono qui solo da tre giorni, dottore, e già mi dà sui nervi.»

Cawley annuì con un debole sorriso. «Ma lei se ne andrà.»

«Me ne andrò?»

«A casa, agente. Ora che Rachel è stata trovata. Di solito il traghetto arriva verso le undici del mattino. Sarà a Boston entro mezzogiorno, immagino.»

«Sarebbe fantastico.»

«Sì, vero?» Cawley si passò una mano sulla testa. «Non mi tratterrò dal dirglielo, agente, e senza offesa...»

«Oh, ecco che ci risiamo.»

Cawley sollevò una mano. «No, no. Nessuna opinione personale sul suo stato emotivo. No, stavo per dirle che la sua presenza qui ha avuto un effetto negativo su molti pazienti. Li ha agitati. Sa di che parlo: Johnny la Legge è arrivato in città. La cosa ha messo in tensione molti di loro.»

«Mi dispiace molto.»

«Non è colpa sua. È colpa di ciò che rappresenta, non c'è niente di personale.»

«Oh, be', allora è tutto a posto.»

Cawley si appoggiò al muro, vi posò un piede. Con il camice bianco spiegazzato e la cravatta allentata, aveva l'aria stanca quasi quanto si sentiva stanco Teddy.

«Oggi pomeriggio nel padiglione C si è sparsa la voce che al piano principale c'era un uomo non identificato con indosso abiti da inserviente.»

«Davvero?»

Cawley lo guardò attentamente. «Davvero.»

«E come è possibile?»

Cawley si tolse un pelucco dalla cravatta e se lo sfregò via dalle dita. «Dicono che lo sconosciuto avesse dimestichezza con le tecniche di neutralizzazione per gli individui pericolosi.»

«Ma non mi dica.»

«Oh sì. Già.»

«Che cos'altro ha fatto questo Cosiddetto Sconosciuto?»

«Be'.» Cawley stirò le braccia e si tolse il camice bianco, tenendolo piegato sul braccio. «Sono lieto che sia interessato.»

«Ehi, non c'è niente di interessante come una voce, un pettegolezzo.»

«Sono d'accordo. A quanto pare, il Cosiddetto Sconosciuto - ma non posso confermarlo, badi bene - ha avuto una lunga conversazione con uno schizofrenico paranoide di nome George Noyce.»

«Hmm» disse Teddy.

«Proprio così.»

«E così, questo... hmm...»

«Noyce.»

«Noyce» ripeté Teddy. «Già, questo tipo... soffre di allucinazioni, eh?»

«All'estremo» disse Cawley. «Con i suoi racconti fa agitare tutti gli altri...»

«Anche lui.»

«Sì, be', diciamo che mette gli altri pazienti in un umore spiacevole. Due settimane fa, infatti, ha dato così tanto fastidio che un paziente l'ha picchiato.»

«Non mi dica.»

Cawley si strinse nelle spalle. «Succede.»

«Che genere di fantasie ha?» domandò Teddy. «Che tipo di storie racconta?»

Cawley agitò una mano. «Le solite illusioni paranoiche. Il mondo intero che gli dà la caccia e ce l'ha con lui, cose del genere.» Mentre si accendeva una sigaretta, sollevò lo sguardo su Teddy, gli occhi illuminati dalla fiammella. «E così se ne va.»

«Immagino di sì.»

«Con il primo traghetto.»

Teddy gli rivolse un sorriso gelido. «Se qualcuno ci sveglia.»

Cawley gli restituì il sorriso. «Credo che potremmo occuparcene.»

«Grandioso.»

«Grandioso» ripeté Cawley. «Sigaretta?»

Teddy alzò una mano verso il pacchetto che gli veniva offerto. «No, grazie.»

«Sta cercando di smettere?»

«Di diminuire.»

«Probabilmente è una buona cosa. Ho letto sulle riviste mediche che il tabacco potrebbe essere collegato a un sacco di malattie terribili.»

«Davvero?»

Cawley annuì. «Il cancro, per esempio, ho sentito dire.»

«Ci sono davvero molti modi per morire, di questi tempi.»

«Verissimo. Ma ci sono anche sempre più modi per curare.»

«Lo crede davvero?»

«Se non ci credessi, non farei questa professione.» Cawley soffiò il fumo sopra di sé.

«Non ha mai avuto un paziente di nome Andrew Laeddis?» domandò Teddy.

Cawley riabbassò la testa. «Non mi suona familiare.»

«No?»

Cawley si strinse nelle spalle. «Dovrebbe?»

Teddy scosse la testa. «Era un tipo che conoscevo. Lui...»

«Come?»

«In che senso?»

«Come l'ha conosciuto?»

«In guerra» rispose Teddy.

«Ah.»

«A ogni modo, ho sentito dire che ha perso la testa e che è stato mandato qui.»

Cawley tirò lentamente dalla sigaretta. «Ha sentito male.»

«A quanto sembra.»

«Ehi, succede» disse Cawley. «Un minuto fa, ho creduto che lei avesse detto "ci".»

«Cosa?»

«"Ci", nel senso di "noi"» ribatté Cawley. «Prima persona plurale.»

Teddy si portò una mano al petto. «Parlando di me?»

Cawley annuì. «Ho pensato avesse detto: "Se qualcuno ci sveglia". Ci sveglia.»

«Be', l'ho detto. Ovviamente. A proposito, l'ha visto?»

Cawley lo guardò, inarcando le sopracciglia.

«Suvvia» insistette Teddy. «È qui?»

Cawley rise, guardandolo.

«Che c'è?» domandò Teddy.

Cawley si strinse nelle spalle. «Sono solo confuso.»

«Confuso da cosa?»

«Da lei, agente. È uno dei suoi strani scherzi?»

«Che scherzi? Voglio solo sapere se lui è qui» disse Teddy.

«Chi?» domandò Cawley, con una punta di esasperazione nella voce.

«Chuck.»

«Chuck?» disse lentamente Cawley.

«Il mio collega» disse Teddy. «Chuck.»

Cawley si staccò dal muro, la sigaretta che gli pendeva tra le dita. «Lei non ha un collega, agente. È venuto qui da solo.»

 

19

 

«Aspetti un attimo...» disse Teddy.

Vide Cawley, ora più vicino, che lo osservava.

Teddy chiuse la bocca, sentì la notte pesargli sulle palpebre.

«Me ne parli ancora» disse Cawley. «Intendo dire... del suo collega.»

Lo sguardo curioso di Cawley era la cosa più fredda che Teddy avesse mai visto. Insinuante, intelligente e ferocemente blando. Era lo sguardo di un attore di cabaret che faceva finta di non sapere quando sarebbe arrivata la battuta finale.

E Teddy era Ollio per il suo Stanlio. Un buffone con le bretelle troppo larghe e un barile al posto dei pantaloni.

L'ultimo a capire la battuta.

«Agente?» Cawley fece un altro piccolo passo avanti, come un uomo che dà la caccia a una farfalla.

Se Teddy avesse protestato, se avesse preteso di sapere dov'era Chuck, se avesse anche solo tentato di affermare che un Chuck esisteva,si sarebbe consegnato nelle loro mani.

Incrociò lo sguardo di Cawley e vi lesse una risata.

«I pazzi negano di esserlo» disse Teddy.

Un altro passo. «Mi scusi?»

«Bob nega di essere pazzo.»

Cawley incrociò le braccia sul petto.

«Quindi,» disse Teddy «Bob è pazzo.»

Cawley si spostò all'indietro, e ora sorrideva.

Teddy gli rispose a sua volta con un sorriso.

Rimasero così per un po' di tempo, la brezza notturna che soffiava tra gli alberi sopra il muro con un fruscio leggero.

«Sa,» disse Cawley, giocando con la punta dei piedi sull'erba, a testa bassa «qui ho costruito qualcosa di importante. Ma le cose importanti e preziose hanno anche la prerogativa di essere fraintese, nella loro epoca. Tutti vogliono una soluzione rapida. Siamo stanchi di avere paura, stanchi di essere tristi, stanchi di sentirci impotenti, stanchi di sentirci stanchi. Vogliamo che tornino i vecchi tempi, e non ce li ricordiamo nemmeno, vogliamo spingerci nel futuro, paradossalmente, alla massima velocità possibile. La pazienza e l'attesa sono le prime vittime del progresso. Non è una novità. Non lo è affatto. È stato sempre così.» Cawley sollevò la testa. «E così, per quanti amici potenti io abbia, ho dei nemici altrettanto potenti. Persone pronte a togliermi il controllo su ciò che ho costruito. Non posso permetterlo senza lottare. Mi capisce?»

«Oh, capisco benissimo, dottore» rispose Teddy.

«Bene.» Cawley sciolse le braccia. «E questo suo compagno?»

«Quale compagno?» disse Teddy.

 

Quando Teddy vi fece ritorno, Trey Washington era nella stanza. Era a letto e leggeva una copia di «Life».

Teddy guardò la cuccetta di Chuck. Il letto era stato rifatto, il lenzuolo e la coperta erano ripiegati stretti: nessuno avrebbe potuto dire che due notti prima ci avesse dormito qualcuno.

I pantaloni, la giacca, la camicia e la cravatta del vestito di Teddy erano tornati dalla lavanderia ed erano appesi nell'armadio avvolti nella plastica.

Teddy si cambiò i vestiti da inserviente e indossò il completo mentre Trey sfogliava le pagine patinate della rivista.

«Come sta questa sera, agente?»

«Tutto bene.»

«Oh, benissimo. Molto bene.»

Si accorse che Trey non lo guardava. Teneva gli occhi sulla rivista, sfogliando sempre le stesse pagine.

Teddy trasferì il contenuto delle tasche, sistemando il foglio di ricovero di Laeddis nella tasca interna del soprabito insieme al suo taccuino.

Si sedette sulla brandina di Chuck di fronte a Trey, si fece il nodo alla cravatta, si allacciò le scarpe e rimase seduto in silenzio.

Trey voltò un'altra pagina della rivista. «Domani farà caldo.»

«Davvero?»

«Caldo da morire. Ai pazienti non piace, quando fa così caldo.»

«No?»

Trey scosse la testa e voltò un'altra pagina. «Nossignore. Gli fa venire i pruriti eccetera. E domani sera ci sarà anche la luna piena. Che non fa altro che peggiorare le cose. Proprio quello di cui abbiamo bisogno.»

«Perché succede questo?»

«In che senso, agente?»

«La luna piena. Pensa che renda pazza la gente?»

«So che è così.» Trovò una piega su una delle pagine e adoperò l'indice per lisciarla.

«Come mai?»

«Be', se ci pensa... la luna influenza le maree, giusto?»

«Certo.»

«Ha una specie di effetto magnetico o qualcosa del genere sull'acqua.»

«Fin qui ci sono.»

«Il cervello umano,» disse Trey «è costituito al cinquanta per cento di acqua.»

«Dice sul serio?»

«Assolutamente. Quindi, se la vecchia Signora Luna può spostare l'oceano, pensi che cosa può fare al cervello.»

«Da quanto tempo è qui, signor Washington?»

L'uomo finì di lisciare la piega e voltò la pagina. «Oh, parecchio. Da quando sono uscito dall'esercito nel '46.»

«Era nell'esercito?»

«Sì. Mi sono arruolato per avere un fucile, mi hanno dato una padella. Ho combattuto i tedeschi cucinando male, signore.»

«Erano stronzate» disse Teddy.

«Erano stronzate sì, agente. Ci avessero fatto entrare in guerra da subito, sarebbe finita nel '44.»

«Non sarò certo io a discutere su questo.»

«Lei è stato un po' dappertutto, eh?»

«Sì. Ho visto il mondo.»

«Che cosa ne pensa?»

«Lingue diverse, stessa merda.»

«Già. È proprio la verità, eh?»

«Sa come mi ha chiamato stasera il guardiano, signor Washington?»

«Come, agente?»

«Negro.»

Trey sollevò lo sguardo dalla rivista. «Lui... cosa?»

Teddy annuì. «Ha detto che in questo mondo c'è troppa gente di fibra scadente. Razze miste. Negri. Ritardati. Ha detto che per lui io ero solo un negro.»

«E la cosa non le è piaciuta, vero?» Trey ridacchiò, e il suono morì non appena ebbe lasciato le sue labbra. «Ma lei non sa com'è essere un negro.»

«Ne sono consapevole, Trey. Ma quell'uomo è il suo capo.»

«Non lo è. Io lavoro per l'ospedale. Quello, il Diavolo Bianco? Lui lavora per la prigione.»

«È sempre il suo capo.»

«No che non lo è.» Trey si sollevò su un gomito. «Mi ha sentito? Voglio dire, ci siamo chiariti su questo punto, agente?»

Teddy si strinse nelle spalle.

Trey mise le gambe giù dal letto e si sollevò a sedere. «Sta cercando di farmi arrabbiare, signore?»

Teddy scosse la testa.

«Allora perché non è d'accordo con me quando le dico che non lavoro per quel bianco figlio di puttana?»

Teddy si strinse nuovamente nelle spalle. «Per farla breve... se lui cominciasse a dare degli ordini? Lei salterebbe come un animale ammaestrato.»

«Io cosa?»

«Salterebbe. Come un coniglietto.»

Trey si passò una mano sulla mascella, guardando Teddy con un sogghigno incredulo.

«Senza offesa» disse Teddy.

«Oh, no, no.»

«È solo che ho notato che la gente, su quest'isola, ha un modo tutto particolare di crearsi la sua verità. Pensano che, se la ripetono abbastanza a lungo, allora dev'essere così.»

«Non lavoro per quell'uomo.»

Teddy lo indicò. «Già. Questa è la verità dell'isola che io conosco e amo.»

Trey sembrava pronto a colpirlo.

«Vede,» disse Teddy «stasera hanno fatto una riunione. E, dopo, il dottor Cawley è venuto da me e mi ha detto che non ho mai avuto un collega. E, se lo chiedo a lei, lei mi dirà la stessa cosa. Lei negherà di essersi seduto a un tavolo con quell'uomo e di aver giocato a poker e riso con lui. Negherà che lui le abbia mai detto che l'unico modo per sfuggire alla sua zia cattiva fosse di correre più veloce. Lei negherà che lui abbia mai dormito proprio qui, in questo letto. Non è vero, signor Washington?»

Trey abbassò lo sguardo. «Non so di cosa sta parlando, agente.»

«Oh, sì, lo so, lo so. Non ho mai avuto un collega. Adesso la verità è questa. È stato deciso. Non ho mai avuto un collega e lui non è da qualche parte sull'isola, ferito. O morto. Oppure rinchiuso nel padiglione C o nel faro. Non ho mai avuto un collega. Vuole ripeterlo con me, così le cose saranno chiare? Non ho mai avuto un collega. Suvvia. Lo dica.»

Trey sollevò lo sguardo. «Lei non ha mai avuto un collega.»

«E lei non lavora per il guardiano» disse Teddy.

Trey si sbatté le mani sulle ginocchia.

Guardò Teddy e Teddy si accorse che la cosa lo stava divorando. I suoi occhi divennero umidi e iniziò a tremargli il mento.

«Lei deve andarsene di qui» sussurrò.

«Ne sono consapevole.»

«No.» Trey scosse la testa diverse volte. «Lei non ha la minima idea di cosa sta succedendo qui. Si dimentichi quello che ha sentito dire. Dimentichi quello che crede di sapere. La prenderanno. E non c'è ritorno, da quello che le faranno. Non c'è modo di tornare indietro.»

«Me lo dica» disse Teddy, ma Trey stava di nuovo scuotendo la testa. «Mi dica cosa succede in questo posto.»

«Non posso farlo. Non posso. Mi guardi.» Trey inarcò le sopracciglia e sgranò gli occhi. «Io - Non - Posso - Farlo. Lei è da solo. E io, al suo posto, non aspetterei nessun traghetto.»

Teddy ridacchiò. «Non posso nemmeno uscire dal complesso, figuriamoci andarmene dall'isola. E, se anche potessi, il mio collega è...»

«Si dimentichi del suo compagno» sibilò Trey. «Lui è andato. Mi ha capito? Non tornerà, amico mio. Lei deve andarsene. Deve pensare a se stesso e soltanto a se stesso.»

«Trey,» disse Teddy «sono chiuso dentro.»

Trey si alzò e andò alla finestra. Guardò il buio, o forse la sua immagine riflessa: Teddy non avrebbe saputo dirlo.

«Non dovrà mai tornare. Non dovrà mai raccontare a nessuno che io le ho raccontato qualcosa.»

Teddy attese.

Trey si voltò a guardarlo da sopra la spalla. «Intesi?»

«Intesi» rispose Teddy.

«Il traghetto sarà qui domattina alle dieci. Partirà per Boston alle undici in punto. Se un uomo si nascondesse su quella barca, potrebbe anche riuscire ad arrivare dall'altra parte della baia. Altrimenti, uno dovrebbe aspettare altri due o tre giorni e un peschereccio, la Betsy Ross, arriva molto vicino alla riva sud e butta qualcosa in mare.» Si voltò a guardare Teddy. «Un genere di cose che le persone di qui non dovrebbero avere. Ora, la Betsy Ross non arriva fino all'isola. Quindi, bisognerebbe raggiungerla a nuoto.»

«Non posso restare tre cazzo di giorni su quest'isola» disse Teddy. «Non conosco il territorio. Il guardiano e i suoi uomini lo conoscono eccome, invece. Mi troveranno.»

Trey non disse nulla per un po'.

«Allora dev'essere il traghetto» disse infine.

«Il traghetto, esatto. Ma come faccio a uscire dal complesso?»

«Merda» disse Trey. «Può anche non credermi, ma questo è il suo giorno fortunato. La tempesta ha sputtanato tutto, in particolare i sistemi elettrici. Abbiamo riparato la maggior parte dei cavi lungo il muro. La maggior parte.»

«Quali sezioni non avete ancora sistemato?» domandò Teddy.

«L'angolo a sud-ovest. Quelle due sezioni sono morte, proprio dove il muro fa un angolo di novanta gradi. Il resto dei cavi la friggeranno come un pollo, così veda di non scivolare e di afferrarne uno per sbaglio. Mi ha sentito?»

«Chiaro.»

Trey annuì alla propria immagine riflessa. «Le suggerirei di darsela a gambe. Il tempo stringe.»

Teddy si alzò in piedi. «Chuck» disse.

Trey lo guardò malissimo. «Non esiste nessun Chuck. D'accordo? Non è mai esistito. Quando sarà tornato nel mondo, potrà parlare di Chuck quanto le pare. Ma qui, no. Qui quell'uomo non è mai esistito.»

 

Quando fu di fronte all'angolo sud-ovest del muro, Teddy si rese conto che Trey poteva avergli mentito. Se avesse messo una mano su quei cavi ottenendo una buona presa e quelli fossero stati in funzione, avrebbero trovato il suo corpo l'indomani mattina ai piedi del muro, nero come una bistecca vecchia di un mese. Problema risolto. Trey diventa l'impiegato dell'anno, magari gli danno anche un bell'orologio d'oro come premio.

Si guardò intorno e cercò nell'erba finché non trovò un lungo ramoscello, poi si voltò verso la sezione di cavi alla destra dell'angolo. Prese la rincorsa e saltò verso il muro, vi posò il piede e balzò verso l'alto. Sbatté il ramoscello sul cavo e il cavo sputò una lingua di fiamma. Il rametto prese fuoco. Teddy ricadde a terra e guardò il pezzo di legno che teneva in mano. La fiamma si spense, ma il legno era incandescente.

Provò di nuovo, questa volta sul cavo sul lato destro dell'angolo. Niente.

Riprese fiato, poi saltò sulla parte sinistra. E, ancora una volta, niente.

C'era un paletto metallico sopra la sezione di muro che formava l'angolo, e Teddy dovette prendere la rincorsa tre volte prima di riuscire ad afferrarlo. Si tenne stretto al palo e riuscì ad arrampicarsi in cima al muro. Urtò il cavo elettrificato con le spalle, con le ginocchia, con gli avambracci, e ogni volta pensò di essere morto.

Non lo era. Quando raggiunse la sommità del muro, non c'era molto altro da fare se non calarsi dalla parte opposta.

Rimase in piedi tra le foglie e si voltò a guardare Ashecliffe.

Era venuto lì in cerca della verità, e non l'aveva trovata. Era venuto lì per Laeddis, e non aveva trovato nemmeno lui. E in più, durante il percorso, aveva perso Chuck.

Ma avrebbe avuto tempo sufficiente per i rimpianti a Boston. Il tempo per sentirsi in colpa e per vergognarsi di se stesso. Il tempo per considerare le opzioni a sua disposizione e consultarsi con il senatore Hurly e pensare a un piano d'attacco.

Sarebbe tornato. E alla svelta. Non c'erano dubbi, su questo. E, sperava, sarebbe stato armato di mandati di perquisizione e di ingiunzioni legali. Si sarebbe arrabbiato. Sarebbe stato giustamente furioso.

Ora, però, non provava altro che sollievo perché era vivo e perché era dall'altra parte del muro.

Era sollevato.

E spaventato.

 

Gli ci volle un'ora e mezza per tornare alla caverna, ma la donna se ne era andata. Il fuoco era ridotto a qualche tizzone rosseggiante, e Teddy vi si sedette accanto anche se la temperatura all'esterno era ben superiore alla media stagionale e l'aria si faceva più appiccicosa di ora in ora.

Teddy la aspettò, sperando che fosse soltanto andata a cercare altra legna, ma dentro di sé sapeva che non sarebbe tornata. Forse credeva che l'avessero già catturato e, in quel preciso momento, stava raccontando al guardiano e a Cawley del suo nascondiglio. Forse - e questo era eccessivo anche solo da sperare, ma Teddy si concesse ugualmente di farlo - Chuck l'aveva trovata ed erano andati insieme in un luogo che ritenevano più sicuro.

Quando il fuoco si spense del tutto, Teddy si tolse la giacca del vestito, se la avvolse intorno al petto e alle spalle e appoggiò la testa alla parete della caverna. Proprio come la notte prima, l'ultima cosà che notò prima di addormentarsi furono i suoi pollici.

Avevano cominciato a tremare.

 

QUARTO GIORNO

IL CATTIVO MARINAIO

 

20

 

Tutti i morti e i morti-ma-forse-no stavano prendendo i soprabiti.

Erano in una cucina, i soprabiti erano appesi a dei ganci e il padre di Teddy prese il suo vecchio spolverino verde, vi infilò le braccia e poi aiutò Dolores a indossare il suo e disse a Teddy: «Sai cosa mi piacerebbe per Natale?».

«No, papà.»

«Una cornamusa.»

E Teddy capì che intendeva dire mazze da golf e una sacca per portarle.

«Proprio come Ike» disse.

«Esattamente» rispose suo padre, e porse a Chuck il cappotto.

Chuck se lo mise. Era un bel cappotto. Cachemire di prima della guerra. La cicatrice di Chuck non c'era più, ma aveva ancora quelle mani delicate, prese a prestito, e le tenne di fronte a Teddy muovendo rapidamente le dita.

«Sei andato con quella donna-medico?» gli domandò Teddy.

Chuck scosse la testa. «Sono troppo bene educato. Sono andato all'ippodromo.»

«Hai vinto?»

«Ho perso un sacco di soldi.»

«Mi dispiace.»

Chuck disse: «Dai un bacio d'addio a tua moglie. Sulla guancia».

Teddy si sporse in avanti, oltrepassando sua madre e Tootie Vicelli che gli sorrideva con la bocca insanguinata, baciò Dolores su una guancia e poi le disse: «Tesoro, perché sei tutta bagnata?».

«Sono asciutta come un osso» disse lei al padre di Teddy.

«Se avessi la metà degli anni che ho,» disse il padre di Teddy «ti sposerei, ragazza mia.»

Erano tutti bagnati fradici, compresa sua madre, persino Chuck. I loro soprabiti sgocciolavano sul pavimento.

Chuck gli porse tre pezzi di legno e disse: «Sono per il fuoco».

«Grazie.» Teddy prese i ciocchi e poi dimenticò dove doveva metterli.

Dolores si grattò la pancia e disse: «Maledetti conigli. A cosa servono?».

Laeddis e Rachel Solando entrarono nella stanza. Non indossavano cappotti. Non indossavano assolutamente nulla, e Laeddis passò una bottiglia di Rye sopra la testa della madre di Teddy e poi prese Dolores tra le braccia e Teddy sarebbe stato geloso, ma Rachel si inginocchiò davanti a lui, gli abbassò la cerniera dei pantaloni e lo prese in bocca, e Chuck, suo padre, Tootie Vicelli e sua madre lo salutarono con la mano mentre se ne andavano e Laeddis e Dolores arrancavano insieme in camera da letto e Teddy poteva sentirli gemere sul materasso, lottare con i vestiti, respirare affannosamente, e tutto sembrava più o meno perfetto, meraviglioso, mentre faceva alzare Dolores che era rimasta in ginocchio e udiva Rachel e Laeddis là dentro che scopavano come matti, e baciò sua moglie, e posò una mano sul buco nella sua pancia e lei disse: «Grazie» e lui entrò dentro di lei da dietro, spingendo giù i ciocchi dal ripiano della cucina, mentre il guardiano e i suoi uomini si versavano il Rye che aveva portato Laeddis e il guardiano gli strizzava l'occhio in segno di approvazione per la sua tecnica scopatoria e sollevava il bicchiere verso di lui e diceva ai suoi uomini: «Quello sì che è un negro bianco ben dotato. Se lo vedete, sparate per primi. Mi avete sentito? Non ci pensate due volte. Se quell'uomo se ne va dall'isola, noi siamo più o meno fottuti, signori miei».

Teddy si tolse la giacca con uno strattone e arrancò fino all'apertura della caverna.

Il guardiano e i suoi uomini erano sul cornicione di roccia proprio sopra di lui. Il sole era sorto. I gabbiani lanciavano i loro richiami.

Teddy guardò l'orologio: le otto del mattino.

«Non correte rischi» disse il guardiano. «Quest'uomo è addestrato al combattimento, è stato in guerra, ha esperienza. Ha il Cuore di Porpora e la Foglia di Quercia. Pluridecorato. In Sicilia ha ucciso due uomini a mani nude.»

Quell'informazione era nel suo dossier personale, Teddy lo sapeva. Ma come cazzo erano riusciti a procurarselo?

«È abile con il coltello e nel corpo a corpo. Non avvicinatevi a quest'uomo. Se ne avete la possibilità, tiratelo giù come fosse un cane a due zampe.»

Teddy si ritrovò a sorridere a dispetto della situazione. Quante altre volte gli uomini del guardiano si erano sorbiti il paragone con i cani a due zampe?

Tre guardie scesero dalla scogliera con le corde. Teddy si allontanò dalla bocca della caverna e li osservò raggiungere la spiaggia sottostante. Qualche minuto più tardi, tornarono su e Teddy sentì uno di loro che diceva: «Laggiù non c'è, signore».

Rimase in ascolto per un po' mentre cercavano nei pressi del promontorio e poi lungo il sentiero, poi si allontanarono e Teddy attese un'ora intera prima di abbandonare la caverna, aspettando di sentire se qualcuno era rimasto in retroguardia. Diede alla squadra che lo stava cercando abbastanza tempo da non correre il rischio di imbattersi in loro per sbaglio.

Erano le nove e venti quando raggiunse la strada. La seguì tornando verso ovest, tentando di mantenere un passo rapido ma sempre in ascolto nel timore che ci fossero uomini che lo cercavano davanti o dietro di lui.

Trey aveva avuto ragione, nella sua previsione meteorologica. Faceva un caldo d'inferno. Teddy si tolse la giacca e se la ripiegò su un braccio. Allentò il nodo della cravatta quel tanto che bastava per sfilarsela da sopra la testa, e se la infilò in tasca. Aveva la bocca secca come un cristallo di sale, e gli occhi gli bruciavano per il sudore.

Rivide Chuck come l'aveva visto nel suo sogno, che indossava il cappotto, e l'immagine lo colpì più profondamente di quella di Laeddis che palpava Dolores. Finché non erano arrivati Rachel e Laeddis, tutti, nel sogno, erano morti. Tranne Chuck. Ma Chuck aveva preso il suo cappotto dallo stesso appendiabiti e li aveva seguiti fuori dalla porta. Teddy detestava il simbolismo di quella scena. Se avessero preso Chuck sul promontorio, probabilmente l'avevano trascinato via mentre Teddy si stava arrampicando. E chiunque l'avesse colto di sorpresa doveva essere molto bravo nel suo lavoro, perché Chuck non si era lasciato sfuggire nemmeno un grido.

Quanto bisognava essere potenti per far sparire non uno, ma due agenti federali?

Immensamente potenti.

E se il piano era far impazzire Teddy, non poteva essere lo stesso per Chuck. Nessuno avrebbe mai creduto che due agenti federali avessero perso la testa negli stessi quattro giorni. Quindi, Chuck avrebbe avuto un incidente. Probabilmente durante la tempesta. In effetti, se erano davvero così furbi - e sembrava proprio che lo fossero - allora forse la morte di Chuck avrebbe rappresentato proprio l'evento scatenante che aveva spinto la mente di Teddy oltre il punto di non ritorno.

C'era un'innegabile simmetria in quell'idea.

Ma se Teddy non fosse riuscito a lasciare l'isola, il dipartimento non avrebbe mai accettato quella versione, non importa quanto logica potesse essere, senza inviare altri agenti a indagare con i loro occhi.

E che cosa avrebbero trovato?

Teddy osservò i tremori che gli vibravano nei polsi e nei pollici. Stavano peggiorando. E il suo cervello non era per niente più lucido, dopo una notte di sonno. Si sentiva annebbiato, con la lingua pesante. Se quando l'ufficio avesse mandato altri uomini, le droghe avessero già fatto effetto, probabilmente gli agenti avrebbero trovato Teddy a sbavarsi nell'accappatoio e a cagare lì dov'era seduto. E la versione dell'Ashecliffe sarebbe stata confermata in pieno.

Udì il traghetto suonare la sirena e raggiunse la sommità di un'altura in tempo per vederlo terminare la virata nella baia e iniziare ad avvicinarsi a marcia indietro al pontile. Accelerò il passo, e dieci minuti dopo vide il retro della casa in stile Tudor di Cawley attraverso il bosco.

Si allontanò dalla strada ed entrò tra gli alberi. Udì uomini che scaricavano il traghetto, il tonfo degli scatoloni gettati sul pontile, il clangore degli argani metallici, rumore di passi sulle assi di legno. Raggiunse l'ultima macchia di alberi e vide diversi inservienti sul pontile e i due piloti del traghetto appoggiati al timone, e vide le guardie, tantissime guardie, con il calcio dei fucili appoggiato al fianco, i corpi rivolti al bosco, gli occhi che scrutavano gli alberi e i terreni intorno all'Ashecliffe.

Quando gli inservienti ebbero finito di scaricare la nave, riportarono via gli argani, ma le guardie rimasero, e Teddy capì che il loro unico lavoro, quella mattina, era assicurarsi che lui non riuscisse a raggiungere il traghetto.

Tornò silenziosamente nel bosco e uscì dagli alberi nei pressi della casa di Cawley. Sentì degli uomini muoversi ai piani superiori, ne vide uno sulla sommità del tetto, voltato di spalle. Trovò la macchina nel garage sul lato occidentale della casa. Una Buick Roadmaster del '47. Marrone, con gli interni in pelle bianca. Incerata e scintillante il giorno dopo un uragano. Una macchina sicuramente molto amata.

Teddy aprì la portiera dal lato del guidatore e sentì subito l'odore del cuoio, come se fosse ancora nuovissimo. Aprì il vano portaoggetti e trovò diverse scatole di fiammiferi. Le prese tutte.

Si tolse la cravatta dalla tasca, raccolse una piccola pietra da terra e vi annodò intorno l'estremità più sottile della cravatta. Sollevò la placca della targa e svitò il tappo del serbatoio, quindi infilò la cravatta e la pietra nell'apertura finché tutto ciò che rimaneva fuori era un pezzetto di stoffa a fiori. Come se fosse appesa al collo di un uomo.

Teddy ricordò Dolores che gli regalava quella stessa cravatta, avvolgendogliela intorno agli occhi mentre gli stava seduta sulle ginocchia.

«Mi dispiace, tesoro» sussurrò. «La adoro perché me l'hai regalata tu, ma è una cravatta davvero orribile.»

E sorrise rivolto al cielo come per scusarsi con lei, poi adoperò un fiammifero per accendere l'intera scatola e adoperò la scatola per dar fuoco alla cravatta.

E poi corse via all'impazzata.

Era già nel bosco quando la macchina esplose. Udì qualcuno gridare e si voltò a guardare. Attraverso gli alberi vide le fiamme che si innalzavano in grosse palle infuocate. Poi ci fu una serie di esplosioni più piccole, come fuochi d'artificio, quando saltarono i finestrini.

Raggiunse il limitare del bosco, appallottolò la giacca e la nascose sotto qualche roccia. Vide le guardie e i marinai del traghetto che correvano verso la casa di Cawley, e capì che, se voleva farlo, doveva farlo subito: non c'era tempo per pensarci due volte, e la cosa andava bene perché se solo si fosse fermato a pensare a ciò che stava per fare, non l'avrebbe mai fatto.

Uscì dal bosco e corse lungo la riva. Un attimo prima che raggiungesse il pontile, dove sarebbe stato esposto agli occhi di chiunque stesse tornando al traghetto, tagliò bruscamente verso sinistra e corse nell'acqua.

Cristo, era ghiacciata. Teddy aveva sperato che il calore della giornata l'avesse riscaldata un po', ma il gelo gli tagliò il corpo come fosse corrente elettrica e gli svuotò i polmoni. Ma Teddy continuò ad arrancare, cercando di non pensare a cosa c'era nell'acqua con lui: anguille, meduse, granchi e magari anche squali. Sembrava ridicolo, ma Teddy sapeva che gli squali attaccavano gli esseri umani anche in un metro d'acqua e lui si trovava più o meno a quell'altezza, aveva l'acqua che gli arrivava alla vita e si innalzava sempre più. Teddy udì le grida provenienti dalla casa di Cawley. Ignorò i battiti da martello pneumatico del suo cuore e si tuffò sott'acqua.

Vide la bambina dei suoi sogni che fluttuava appena sotto di lui, gli occhi aperti e rassegnati.

Scosse la testa e la bambina svanì. Vide davanti a sé la chiatta, una sottile striscia nera che ondeggiava nell'acqua verdastra. Nuotò fino a raggiungerla e la afferrò con entrambe le mani. Si spostò seguendola fino alla prua e andò dalla parte opposta, poi si obbligò a uscire lentamente dall'acqua, mettendo fuori solo la testa. Sentì il sole sul viso mentre espirava e poi inalava ossigeno e tentava di non pensare alle sue gambe che ondeggiavano sospese sull'abisso, con qualche creatura che le notava, si domandava cosa fossero, si avvicinava per guardarle più da vicino....

La scaletta era dove ricordava. Proprio di fronte a lui. Mise una mano sul terzo piolo e rimase lì appeso. Ora poteva sentire gli uomini che tornavano di corsa sul pontile, sentì i loro passi pesanti risuonare sulle tavole di legno, poi udì la voce del guardiano: «Perquisite la nave».

«Signore, ci siamo allontanati solo per...»

«Avete abbandonato i vostri posti e adesso avete da discutere?»

«Nossignore. Mi dispiace, signore.»

La scaletta si abbassò tra le sue mani quando diversi uomini misero il loro peso sul traghetto. Teddy li udì andare da una parte all'altra della nave, udì porte che si aprivano e armadi che venivano spostali.

Qualcosa, simile a una mano, gli scivolò tra le cosce. Teddy digrignò i denti, serrò la presa sulla scaletta e obbligò la sua mente a svuotarsi del tutto perché non voleva nemmeno immaginare di cosa si trattasse. Qualsiasi cosa fosse, continuò a muoversi, e Teddy ricominciò a respirare.

«La mia macchina. Ha fatto saltare la mia cazzo di macchina.» Cawley, sconvolto e senza fiato.

Il guardiano disse: «Questa faccenda è andata avanti abbastanza, dottore».

«Eravamo d'accordo che la decisione dovevo prenderla io.»

«Se quest'uomo si allontana dall'isola...»

«Non se ne andrà dall'isola.»

«Sono sicuro anche che lei non pensava che avrebbe trasformato la sua macchinetta in un inferno di fuoco e fiamme. Dobbiamo interrompere subito questa operazione e limitare le perdite.»

«Ho lavorato troppo duramente per gettare la spugna.»

La voce del guardiano si alzò di tono. «Se riesce ad allontanarsi dall'isola, verremo distrutti.»

La voce di Cawley si alzò per compensare quella del guardiano. «Non se ne andrà da questa cazzo di isola!»

Nessuno dei due parlò per un lungo istante. Teddy li sentì muoversi sul pontile.

«Benissimo, dottore. Ma il traghetto resta qui. Non lascia il molo finché non troviamo quell'uomo.»

Teddy rimase lì appeso. Il freddo gli aveva raggiunto i piedi e glieli stava bruciando.

«Vorranno delle risposte per il traghetto, a Boston» disse Cawley.

Teddy chiuse la bocca prima che i denti iniziassero a battergli per il freddo.

«Allora gli dia delle risposte. Ma il traghetto resta qui.»

Qualcosa si spinse contro la coscia di Teddy.

«D'accordo, guardiano.»

Un altro strattone contro la sua gamba sinistra. Teddy scalciò all'indietro e udì lo schizzo dell'acqua risuonare nell'aria come un colpo di pistola.

Passi sul ponte.

«Non è qui, signore. Abbiamo guardato dappertutto.»

«E allora dov'è andato?» disse il guardiano. «Qualcuno ha qualche idea?»

«Merda!»

«Sì, dottore?»

«È diretto al faro.»

«Mi era già venuto in mente.»

«Me ne occuperò io.»

«Prenda degli uomini con sé.»

«Ho detto che me ne occupo io. Abbiamo diversi uomini, là.»

«Non abbastanza.»

«Me ne occupo io, ho detto.»

Teddy udì i passi di Cawley allontanarsi sul pontile e poi attutirsi quando il medico raggiunse la sabbia.

«Faro o non faro,» disse il guardiano ai suoi uomini «questa barca non va da nessuna parte. Fatevi dare le chiavi del motore dal pilota e portatele a me.»

Nuotò per quasi tutto il tragitto.

Abbandonò il traghetto e nuotò verso riva finché non toccò il fondo sabbioso.

Arrancò finché non si fu allontanato a sufficienza da sollevare la testa sull'acqua e arrischiare un'occhiata alla nave. Aveva percorso qualche centinaio di metri e vide che le guardie avevano formato un cerchio intorno al molo.

Tornò sott'acqua e continuò ad arrancare sul fondo, per non correre il rischio di sollevare gli spruzzi che lo stile libero o anche il nuoto a cagnolino avrebbero provocato. Dopo un po', raggiunse l'insenatura della costa e la doppiò, poi camminò sulla sabbia e rimase seduto al sole, tremando per il freddo. Camminò sulla riva per quanto gli fu possibile, prima di imbattersi in un gruppo di scogli affioranti che lo costrinsero a tornare in acqua. Legò insieme le scarpe e se le appese al collo, poi si mise di nuovo a nuotare e immaginò le ossa di suo padre da qualche parte sul fondo di quello stesso oceano e immaginò gli squali e le loro pinne e le loro enormi code, e barracuda con file e file di denti bianchi, e capì che stava affrontando tutto quello perché doveva farlo e l'acqua fredda l'aveva reso insensibile e ora lui non aveva altra scelta se non quella, e forse avrebbe dovuto farlo ancora nel giro di un paio di giorni quando la Betsy Ross fosse arrivata a scaricare il suo bottino al largo della punta meridionale dell'isola, e sapeva che l'unico modo per sconfiggere la paura era affrontarla, l'aveva imparato in guerra ma, anche così, se ci fosse riuscito, non sarebbe mai più, mai più, entrato nell'oceano. Poteva sentirlo che lo osservava e lo toccava. Poteva sentire la sua età infinita, più antico degli dei e orgoglioso dei suoi morti.

Vide il faro più o meno all'una del pomeriggio. Non poteva essere sicuro dell'ora perché aveva lasciato l'orologio nella tasca della giacca, ma il sole era più o meno nella posizione giusta. Arrivò a riva appena sotto la scogliera su cui sorgeva il faro, si appoggiò a una roccia e rimase a prendere il sole finché non smise di tremare e la sua pelle iniziò a perdere il colorito bluastro.

Se Chuck era lassù, non importa in che condizioni fosse, Teddy l'avrebbe portato fuori. Vivo o morto, non l'avrebbe lasciato lì.

Allora morirai.

Era la voce di Dolores, e Teddy capì che aveva ragione. Se avesse dovuto aspettare due giorni l'arrivo della Betsy Ross e non avesse avuto un Chuck più che efficiente e all'erta accanto a sé, non ce l'avrebbero mai fatta. Gli avrebbero dato la caccia...

Teddy sorrise.

"...come fossero cani a due zampe."

"Non posso abbandonarlo" disse a Dolores. "Non posso proprio. Se non riesco a trovarlo è una cosa diversa. Ma lui è il mio compagno".

L'hai appena conosciuto.

"È sempre il mio socio. Se è là dentro, se gli stanno facendo del male, se lo trattengono contro la sua volontà, devo portarlo fuori."

Anche se muori nel tentativo?

"Anche se muoio."

Allora spero che non sia lì.

Scese dalla roccia e seguì un sentiero di sabbia e conchiglie che si incurvava intorno a una macchia d'alghe, e gli sovvenne che ciò che Cawley aveva ritenuto tendenzialmente suicida in lui era invece altro. Era più un desiderio di morte. Per anni non era riuscito a pensare a una ragione per vivere, questo era vero. Ma non era riuscito nemmeno a pensare a una buona ragione per morire. Per sua stessa mano? Persino nelle notti più disperate gli era sembrata un'opzione assolutamente patetica. Imbarazzante. Vile.

Ma mori...

La guardia comparve all'improvviso, sorpresa dall'apparizione di Teddy almeno tanto quanto Teddy era sorpreso nel vederla. Aveva ancora la patta aperta, il fucile appeso dietro la schiena. Per prima cosa, d'istinto, si portò le mani sul davanti dei pantaloni, poi cambiò idea, ma a quel punto Teddy gli aveva già colpito il pomo d'adamo con l'interno del polso. Lo afferrò per la gola. Teddy si accovacciò e lo colpì con una gamba sulla schiena. La guardia cadde a terra e Teddy si rialzò, gli mollò un calcio molto forte sull'orecchio destro. L'uomo rovesciò gli occhi all'indietro e spalancò la bocca, privo di sensi.

Teddy si chinò su di lui, fece scivolare la tracolla del fucile dalla spalla della guardia e gli tolse l'arma. Poteva sentirlo respirare. Quindi, non l'aveva ucciso.

E adesso era armato.

 

Adoperò il fucile sulla guardia successiva, quella di fronte alla recinzione. Lo disarmò: era solo un ragazzo, poco più che un bambino, che gli chiese: «Hai intenzione di uccidermi?».

«Gesù, ragazzo mio, no» disse Teddy, e lo colpì alla tempia con il calcio del fucile.

 

C'era un piccolo dormitorio all'interno del perimetro recintato, e Teddy lo controllò per prima cosa. Trovò qualche brandina e qualche rivista porno, un bricco di caffè vecchio, un paio di uniformi da guardia appese a un gancio dietro la porta.

Tornò fuori e attraversò lo spiazzo verso il faro. Adoperò il fucile per aprire la porta e al primo piano non trovò altro che un'umida stanza di cemento, completamente vuota, fatta eccezione per la muffa sulle pareti, e una scala a chiocciola fatta della stessa pietra delle pareti.

Seguì la scala fino a una seconda stanza, deserta come la prima, e capì che doveva esserci un seminterrato, qualcosa di vasto, forse collegato al resto dell'ospedale da una serie di corridoi perché, fino a quel momento, non aveva trovato altro che, be', un faro.

Udì un suono raschiante sopra di sé e tornò sulla scala. Salì ancora e giunse a una pesante porta di ferro. Vi premette la punta del fucile e la sentì cedere lievemente.

Udì di nuovo quel raschiare e subito dopo sentì odore di sigaretta e udì l'oceano e sentì il vento. Capì che, se il guardiano era stato abbastanza furbo da sistemare delle guardie dall'altra parte di quella porta, lui sarebbe stato un uomo morto non appena l'avesse aperta.

Scappa, tesoro.

"Non posso."

Perché?

"Perché questa è la resa dei conti."

Che cosa?

"La spiegazione di tutto. Di tutto."

Non capisco come possa...

"Io. Te. Laeddis. Chuck. Noyce, quel povero ragazzo fottuto. Tutto porta a questo. O si ferma adesso. Oppure mi fermo io."

Erano le sue mani. Le mani di Chuck. Non capisci?

"No. Cosa?"

Le sue mani, Teddy. Non andavano d'accordo con il resto.

Teddy capiva cosa voleva dire. Sapeva che nelle mani di Chuck c'era qualcosa di importante, ma non così tanto da fargli sprecare altro tempo su quella scalinata a pensarci.

"Adesso devo oltrepassare questa porta, tesoro mio."

Okay. Stai attento.

Teddy si accovacciò alla sinistra della porta. Tenne il calcio del fucile contro la parte sinistra del torace e mise la mano destra sulla porta per mantenersi in equilibrio, poi scalciò con il piede sinistro, la porta si spalancò e lui cadde in ginocchio seguendola, si piazzò il fucile sulla spalla e prese la mira lungo la canna.

E si trovò di fronte Cawley.

Seduto dietro una scrivania, le spalle rivolte a una piccola finestrella quadrata, l'oceano che si stendeva azzurro e argenteo dietro di lui, l'odore salmastro che riempiva la stanza, la brezza che gli accarezzava i capelli.

Cawley non sembrava sorpreso. Non sembrava spaventato. Scosse la cenere della sigaretta sul lato di un posacenere che aveva davanti e disse a Teddy: «Perché sei tutto bagnato, piccolino?».

 

21

 

Le pareti alle spalle di Cawley erano ricoperte da lenzuola rosa, gli angoli fissati con pezzi arricciati di nastro adesivo. Sulla scrivania di fronte a lui c'erano diverse cartellette, una radio militare, il taccuino di Teddy, il foglio di ricovero di Laeddis e la giacca della divisa di Teddy. Sistemato su una sedia nell'angolo della stanza c'era un registratore a bobina con le bobine che si muovevano e un piccolo microfono puntato verso la stanza. Direttamente di fronte a Cawley c'era un blocco per appunti rilegato in pelle nera. Il medico vi scrisse qualcosa e disse: «Siediti».

«Cos'hai detto?»

«Ho detto siediti.»

«E prima?»

«Sai benissimo cosa ho detto.»

Teddy si tolse il fucile dalla spalla, ma lo tenne puntato su Cawley. Entrò nella stanza.

Cawley continuò a scribacchiare. «È scarico.»

«Cosa?»

«Il fucile. Non ha proiettili. Data la tua esperienza con le armi da fuoco, mi pare davvero strano che tu non te ne sia accorto.»

Teddy fece scorrere la leva della camera di scoppio e controllò. Era vuota.

Per essere sicuro, puntò il fucile contro il muro alla sua sinistra e tirò il grilletto, ma non udì altro che lo scatto a vuoto del meccanismo.

«Mettilo lì nell'angolo» disse Cawley.

Teddy posò il fucile sul pavimento e tirò la sedia verso di sé, ma non si sedette.

«Che cosa c'è sotto le lenzuola?»

«Ci arriveremo. Siediti. Rilassati. Ecco qui.» Cawley si chinò verso il pavimento e si rialzò con in mano un pesante asciugamano di spugna. Lo lanciò a Teddy attraverso la scrivania. «Asciugati un po'. Ti prenderai un raffreddore.»

Teddy si asciugò i capelli e poi si tolse la camicia. La appallottolò e la lanciò in un angolo, poi si asciugò il petto e le braccia. Quando ebbe finito, prese la sua giacca dalla scrivania.

«Ti dispiace?»

Cawley sollevò lo sguardo. «No, no. Fai pure.»

Teddy indossò la giacca e si sedette.

Cawley scrisse ancora per un po', con la penna che scricchiolava sulla carta. «Hai fatto male alle guardie?»

«Non molto» rispose Teddy.

Cawley annuì, lasciò cadere la penna sul blocco, prese la radio da campo e mosse la manopola per farla riscaldare. Sollevò il ricevitore dalla forcella, abbassò la levetta di trasmissione e parlò. «Sì, è qui. Fai dare un'occhiata ai tuoi uomini dal dottor Sheehan prima di mandarlo di sopra.»

Riappese.

«L'inafferrabile dottor Sheehan» disse Teddy.

Cawley inarcò le sopracciglia.

«Fammi indovinare... è arrivato con il traghetto di stamattina.»

Cawley scosse la testa. «È sempre stato sull'isola.»

«Nascosto in piena vista» notò Teddy.

Cawley allungò una mano e si strinse nelle spalle. «È un brillante psichiatra. Giovane, ma molto promettente. Questo piano è un'idea nostra, mia e sua.»

Teddy sentì una fitta nel collo, appena sotto l'orecchio sinistro. «E come è andato, fino adesso?»

Cawley sollevò una pagina del blocco, diede una rapida scorsa alla pagina sottostante, poi la lasciò ricadere. «Non molto bene. Avevo speranze migliori.»

Guardò Teddy e Teddy vide, nella sua espressione, ciò che aveva visto sulle scale la seconda mattina e ciò che aveva visto alla riunione del personale appena prima della tempesta, e ciò che vide non si accordava con il profilo dell'uomo, non si accordava con quell'isola, con il faro, con il terribile gioco che stavano giocando.

Compassione.

Se Teddy non avesse saputo tutto ciò che sapeva, avrebbe potuto giurare che si trattava proprio di compassione.

Distolse lo sguardo dalla faccia di Cawley e si guardò intorno. La stanza era piccola. Quelle lenzuola appese alle pareti. «Quindi è questo?»

«È questo» assentì Cawley. «Questo è il faro. Il Santo Graal. La grande verità che stavi cercando. È quello che speravi di trovare?»

«Non ho visto il seminterrato.»

«Non c'è un seminterrato. Questo è un faro.»

Teddy guardò il suo taccuino che giaceva sulla scrivania tra lui e Cawley.

«I tuoi appunti sul caso, sì» confermò Cawley. «Li abbiamo trovati insieme alla tua giacca nei boschi vicino a casa mia. Hai fatto saltare la mia macchina.»

Teddy si strinse nelle spalle. «Mi dispiace.»

«Amavo quella macchina.»

«Mi sembrava di averlo capito, sì.»

«Ero in quel salone, nella primavera del '47 e ricordo di aver pensato, mentre la sceglievo: "Be', John, ora quella casella l'hai riempita. Non dovrai preoccuparti di comprare un'altra macchina per i prossimi quindici o vent'anni".» Sospirò. «Mi era piaciuto così tanto quel pensiero.»

Teddy sollevò le braccia. «Ancora una volta, le mie scuse.»

Cawley scosse la testa. «Hai pensato anche solo per un secondo che ti avremmo lasciato prendere quel traghetto? Anche se avessi fatto saltare l'intera isola come diversivo, cosa credi che sarebbe successo?»

Teddy si strinse nelle spalle.

«Tu sei un uomo solo» disse Cawley, «e il compito che tutti avevano stamattina era quello di tenerti giù da quel traghetto. Il fatto è che non riesco a capire la tua logica, in questo caso.»

«Era l'unico modo per andarmene» rispose Teddy. «Dovevo tentare.»

Cawley lo guardò, confuso, poi borbottò: «Cristo, amavo quella macchina» quindi abbassò lo sguardo.

«Hai un po' d'acqua?» domandò Teddy.

Cawley sembrò pensarci per un po', poi voltò la sedia rivelando una caraffa con due bicchieri sul davanzale della finestra alle sue spalle. Versò un bicchiere d'acqua per entrambi e porse il bicchiere a Teddy.

Teddy lo vuotò in un solo sorso.

«Bocca secca, eh?» disse Cawley. «Ti è venuto un prurito alla lingua che non riesci a far passare, non importa quanto bevi?» Fece scivolare la caraffa sulla scrivania e osservò Teddy che si riempiva di nuovo il bicchiere. «Tremito alle mani. Sta peggiorando. Come va il mal di testa?»

E, mentre lo diceva, Teddy senti una fitta feroce di dolore dietro l'occhio sinistro che subito si estese alla tempia e si diramò: in alto verso il cuoio capelluto e in basso verso la mascella.

«Non male» rispose.

«Peggiorerà.»

Teddy bevve ancora un po' d'acqua. «Ne sono certo. Quella donna, il medico, me l'aveva detto.»

Cawley si appoggiò allo schienale con un sorriso e picchiettò la punta della penna sul suo taccuino. «E questa chi sarebbe, adesso?»

«Non ho capito il suo nome,» rispose Teddy «ma un tempo lavorava con voi.»

«Ah. E che cosa ti ha detto, esattamente?»

«Che i neurolettici impiegano quattro giorni a raggiungere un livello ematico accettabile. Ha previsto la secchezza della bocca, le emicranie, il tremito.»

«Una donna intelligente.»

«Già.»

«Non sono dovuti ai neurolettici.»

«No?»

«No.»

«E allora a cosa?»

«Astinenza» disse Cawley.

«Astinenza da cosa?»

Un altro sorriso, poi lo sguardo di Cawley si fece distante. Il medico aprì il taccuino di Teddy all'ultima pagina e lo spinse verso di lui, attraverso la scrivania.

«Questa è la tua scrittura, giusto?»

Teddy abbassò gli occhi sul taccuino. «Sì.»

«Il codice definitivo?»

«Be', è un codice.»

«Ma non l'hai decifrato.»

«Non ne ho avuto la possibilità. Le cose sono diventate un po' strane, nel caso tu non te ne sia accorto.»

«Certo, certo.» Cawley picchiettò sulla pagina. «Ti interessa decifrarlo ora?»

Teddy guardò di nuovo gli otto numeri e le otto lettere:

 

9(i) 21(u) 5(e) 21(u) 19(s) 9(i) 20(t) 12(l)

 

Poteva sentire il cavo infuocato che gli strattonava il retro dell'occhio.

«Non mi sento all'apice della forma, in questo momento.»

«Ma è semplice» disse Cawley. «Otto lettere.»

«Dai alla mia testa la possibilità di smettere di pulsare.»

«D'accordo.»

«Astinenza da cosa?» disse Teddy. «Che cosa mi avete dato?»

Cawley si fece scrocchiare le nocche e si appoggiò allo schienale della poltroncina con uno sbadiglio. «Clorpromazina. Ha i suoi lati negativi. Molti, temo. Non mi piace molto, come farmaco. Speravo di farti iniziare una terapia di imipramina, ora.» Si sporse in avanti. «Di norma, non sono un grande ammiratore della farmacologia. Ma, nel tuo caso, ne ho visto il bisogno.»

«Imipramina?»

«Alcuni la chiamano Tofranil.»

Teddy sorrise. «E clorpromazina.»

Cawley annui. «Clorpromazina. È questa roba quella che stai prendendo adesso. Quella che stai interrompendo. La stessa cosa che ti abbiamo dato negli ultimi due anni.»

«Gli ultimi cosa

«Due anni.»

Teddy ridacchiò. «Senti, so che siete molto potenti. Lo so già. Non dovete esagerare con le pretese, però.»

«Non sto esagerando proprio niente.»

«Mi state drogando da due anni?»

«Preferisco il termine "trattamento farmacologico".»

«E dimmi, avevate qualcuno dei vostri che lavorava con i federali? E il compito di questo tipo era di avvelenarmi il caffè ogni mattina? Oppure, aspetta, lavorava al bar dove mi fermo a comprare il caffè prima di andare al lavoro. Forse è così. Così sarebbe anche meglio. E così, per due anni, avevate qualcuno dei vostri a Boston che mi drogava.»

«Non a Boston» disse Cawley con calma. «Qui.»

«Qui?»

Cawley annuì. «Qui. Sei qui da due anni. Sei un paziente di questo istituto.»

Ora Teddy riusciva a sentire la marea che si alzava, furiosa, scagliandosi contro la base della scogliera. Giunse le mani per calmare il tremito e tentò di ignorare il dolore che gli pulsava dietro l'occhio, un dolore che si faceva sempre più intenso e insistente.

«Sono un agente federale» disse Teddy.

«Eri un agente federale» lo corresse Cawley.

«Lo sono» insistette Teddy. «Sono un agente federale per il governo degli Stati Uniti. Ho lasciato Boston lunedì mattina, ventidue settembre millenovecentocinquantaquattro.»

«Davvero?» disse Cawley. «Allora raccontami come hai preso il traghetto. Ci sei andato in macchina? Dove hai parcheggiato?»

«Ho preso la metropolitana.»

«La metropolitana non arriva così lontano.»

«Ho cambiato e ho preso un autobus.»

«Perché non sei andato in macchina?»

«È dal meccanico.»

«Ah. E domenica... cosa ti ricordi di domenica? Puoi dirmi cosa hai fatto domenica? Puoi, in tutta onestà, dirmi qualsiasi cosa di come hai trascorso il giorno prima di svegliarti nel bagno del traghetto?»

Teddy ne era in grado. Certo che ci sarebbe riuscito, ma quel cazzo di cavo infuocato che aveva nella testa gli stava scavando dentro l'occhio e in mezzo alla fronte.

"D'accordo. Ricordatelo. Digli che cosa hai fatto domenica. Sei tornato a casa dal lavoro. Sei andato al tuo appartamento di Buttonwood. No, no. Non Buttonwood. La casa di Buttonwood era bruciata quando Laeddis gli aveva dato fuoco. No, no. Dove abiti? Gesù. Poteva vedere il posto. Giusto, giusto. La sua casa di... la casa di... Castlemont. Ecco. Casdemont Avenue. Vicino al mare.

Okay, okay. Rilassati. Sei tornato a casa tua a Castlemont e hai cenato e hai bevuto un po' di latte e sei andato a letto. Giusto? Giusto."

«E di questo cosa mi dici?» disse Cawley. «Hai avuto la possibilità di dare un'occhiata a questo?»

Spinse verso di lui il foglio di ricovero di Laeddis.

«No.»

«No?» Fischiò. «Sei venuto apposta per questo. Se avessi riportato questo pezzo di carta al senatore Hurly, la prova di un sessantasettesimo paziente che non abbiamo registrato, avresti potuto rivelare la verità su questo posto.»

«Vero.»

«Vero. E nelle ultime ventiquattr'ore non hai trovato il tempo di dare un'occhiata a questo foglio?»

«Te lo ripeto, le cose sono state un po'...»

«Strane, sì. Capisco. Eh, dagli un'occhiata adesso.»

Teddy abbassò lo sguardo sul foglio, vide il nome giusto, l'età, la data del ricovero di Laeddis. Nella sezione riservata ai commenti, lesse:

 

«Il paziente è molto intelligente e soffre di fissazioni acute. Tendenza conosciuta alla violenza. Estremamente agitato. Non mostra alcun rimorso per il suo crimine perché la negazione è tale che, per lui, nessun crimine ha mai avuto luogo, ll paziente ha costruito una rete di fantasie altamente sviluppate e sofisticate che precludono, al momento, la possibilità per lui di affrontare la verità delle sue azioni.»

 

La firma sotto la nota era: uDr. L. Sheehan".

«Sembra piuttosto corretto» disse Teddy.

«Piuttosto corretto?»

Teddy annuì.

«Nei riguardi di chi?»

«Di Laeddis.»

Cawley si alzò in piedi. Si avvicinò alla parete e tirò giù uno dei lenzuoli. Dietro c'erano quattro nomi, scritti in maiuscolo, con lettere alte venti centimetri:

 

EDWARD DANIELS - ANDREW LAEDDIS

RACHEL SOLANDO - DOLORES CHANAL

 

Teddy aspettò, ma Cawley sembrava aspettare a sua volta. Nessuno dei due disse una parola. Rimasero in silenzio per un lungo minuto.

Alla fine, Teddy disse: «Immagino che tu abbia qualcosa da dimostrare».

«Guarda i nomi.»

«Li vedo.»

«Il tuo nome, il nome del Paziente Sessantasette, il nome della paziente scomparsa e il nome di tua moglie.»

«Già. Non sono cieco.»

«Ecco la tua legge del 4»disse Cawley.

«In che senso?» Teddy si strofinò con forza la tempia, tentando di massaggiarsi via il mal di testa.

«Be', sei tu il genio dei codici. Dimmelo tu.»

«Dirti cosa?»

«Che cos'hanno in comune i nomi Edward Daniels e Andrew Laeddis?»

Teddy guardò il suo nome e quello di Laeddis per un istante.

«Hanno entrambi tredici lettere.»

«Esatto» disse Cawley. «È vero. Qualcos'altro?»

Teddy continuò a fissare i nomi. «Niente.»

«Oh, suvvia!» Cawley si tolse il camice e lo posò sullo schienale di una sedia.

Teddy tentò di concentrarsi. Si stava già stancando di quel giochino di società.

«Prenditi il tempo che vuoi.»

Teddy fissò le lettere finché i loro contorni non iniziarono a sbiadire.

«Niente?» domandò Cawley.

«No. Non riesco a vederci niente. Solo tredici lettere.»

Cawley picchiò sui nomi con il dorso della mano. «Avanti!»

Teddy scosse la testa e si sentì nauseato. Le lettere gli ballavano davanti agli occhi.

«Concentrati.»

«Mi sto concentrando.»

«Che cos'hanno in comune queste lettere?» insistette Cawley.

«Io non... sono tredici. Tredici.»

«Che altro?»

Teddy fissò le lettere fino a farsi male agli occhi. «Niente.»

«Niente?»

«Niente» ribadì Teddy. «Che cosa vuoi che ti dica? Non posso dirti quello che non so. Non posso...»

Cawley lo gridò: «Sono le stesse lettere!».

Teddy si sporse in avanti, tentando di fermare le lettere che gli tremavano davanti agli occhi. «Cosa?»

«Sono le stesse lettere.»

«No.»

«I nomi sono anagrammi l'uno dell'altro.»

Teddy lo disse di nuovo: «No».

«No?» Cawley si accigliò e mosse la mano sotto le scritte. «Queste sono esattamente le stesse lettere. Guardale. Edward Daniels. Andrew Laeddis. Le stesse lettere. Sei così dotato per i codici che hai addirittura pensato di diventare un decifratore di codici durante la guerra, giusto? Ora dimmi che non vedi le stesse tredici lettere quando guardi questi due nomi.»

«No!» Teddy si conficcò i palmi delle mani negli occhi, tentando di schiarirsi la vista o di impedire alla luce di raggiungerli: non avrebbe saputo dire quale delle due.

«"No" nel senso che non sono le stesse lettere? Oppure "no" nel senso che tu non vuoi che siano le stesse?»

«Non possono essere le stesse.»

«Lo sono. Apri gli occhi. Guardale.»

Teddy aprì gli occhi, ma continuò a scuotere la testa. Le lettere, già tremolanti nel suo campo visivo, iniziarono a ondeggiare da una parte all'altra.

Cawley sbatté la mano sulla riga successiva. «Prova con questa, allora. "Dolores Chanal e Rachel Solando." Entrambi i nomi hanno tredici lettere. Vuoi dirmi che cosa hanno questi in comune?»

Teddy sapeva benissimo cosa stava vedendo, ma sapeva anche che non era possibile.

«No? Non riesci ad afferrare nemmeno questa?»

«Non può essere.»

«Invece è così» disse Cawley. «Ancora le stesse lettere. I nomi sono anagrammi l'uno dell'altro. Sei venuto qui per scoprire la verità? Ecco la tua verità, Andrew.»

«Teddy» disse Teddy.

Cawley lo guardò. Il suo volto si colmò di nuovo di un'espressione compassionevole.

«Il tuo nome è Andrew Laeddis» disse Cawley. «Il sessantasettesimo paziente dell'Ashecliffe Hospital? Sei tu, Andrew.»

 

22

 

«Stronzate!» gridò Teddy e l'urlo gli rimbalzò tra le pareti del cranio.

«Ti chiami Andrew Laeddis» ripeté Cawley. «Sei stato destinato qui per ordine del tribunale ventidue mesi fa.»

Teddy agitò una mano. «Questo è indegno anche di voi.»

«Guarda le prove. Ti prego, Andrew, tu...»

«Non chiamarmi così.»

«...sei arrivato due anni fa perché hai commesso un crimine terribile. Un crimine che la società non può perdonare, ma io sì. Andrew, guardami.»

Gli occhi di Teddy si spostarono dalla mano che Cawley gli stava porgendo, salirono sul braccio e poi sul torace fino al volto di Cawley. Gli occhi dell'uomo scintillavano di quella falsa compassione che già vi aveva visto, quell'imitazione di decenza.

«Mi chiamo Edward Daniels.»

«No.» Cawley scosse la testa con un'aria di rassegnata sconfitta. «Ti chiami Andrew Laeddis. Hai fatto una cosa terribile e non puoi perdonarti, non importa come, così reciti. Hai creato una struttura narrativa densa e complicata in cui tu sei l'eroe, Andrew. Ti convinci di essere ancora un agente federale e di avere un caso da seguire. Hai scoperto una cospirazione, il che significa che tutto ciò che ti diciamo di diverso contribuisce a far sì che, nella tua fantasia, noi stiamo cospirando contro di te. E forse potremmo anche soprassedere su questo, lasciarti vivere nel tuo mondo di fantasia. Mi piacerebbe. Se tu fossi innocuo, mi piacerebbe molto. Ma sei violento. Sei molto violento. E, a càusa dell'addestramento militare che hai ricevuto, sei anche troppo bravo a essere violento. Sei il paziente più pericoloso che abbiamo qui. Non possiamo limitarti. È stato deciso, guardami.»

Teddy sollevò lo sguardo, vide Cawley che si sporgeva sulla scrivania, lo sguardo implorante.

«È stato deciso che, se non siamo in grado di riportarti alla sanità mentale ora - intendo dire subito - allora verranno adottate misure permanenti per assicurarci che tu non faccia mai più del male a nessuno. Capisci cosa ti sto dicendo?»

Per un momento - nemmeno un secondo, un decimo di secondo - Teddy quasi gli credette.

Poi sorrise.

«È una bella recita quella che stai facendo, dottore. Chi è che interpreta il poliziotto cattivo: Sheehan?» Si voltò a guardare la porta. «Sta per arrivare, direi.»

«Guardami» disse Cawley. «Guardami negli occhi.»

Teddy lo fece.

Gli occhi del medico erano rossi e gonfi per la mancanza di sonno. E c'era dell'altro. Che cos'era? Teddy sostenne lo sguardo, studiò quegli occhi. E poi capì: se non avesse conosciuto la verità, avrebbe giurato che Cawley avesse il cuore spezzato.

«Ascoltami,» disse Cawley «io sono tutto ciò che ti rimane. Io sono tutto ciò che non hai mai avuto. Sto ascoltando questa tua fantasia da due anni, ormai. Ne conosco ogni dettaglio, ogni piega: i codici, il compagno scomparso, la tempesta, la donna nella caverna, gli esperimenti malvagi nel faro. So tutto di Noyce e dell'inesistente senatore Hurly. So che sogni Dolores di continuo e che il suo addome perde e lei è inzuppata di acqua. So dei tronchi.»

«Sei pieno di merda» disse Teddy.

«Come potrei sapere tutto questo?»

Teddy enumerò le prove sulle dita tremanti: «Ho mangiato il vostro cibo, bevuto il vostro caffè, fumato le vostre sigarette. Diavolo, ho preso tre "aspirine" da te la mattina che sono arrivato. Poi mi hai drogato l'altra notte. Eri seduto lì quando mi sono svegliato. Da allora non sono stato più lo stesso. Ecco quando è iniziata questa storia. Quella notte, dopo l'attacco di emicrania. Che cosa mi hai dato?».

Cawley si lasciò andare contro lo schienale. Fece una smorfia come se stesse inghiottendo dell'acido e guardò fuori dalla finestra.

«Il tempo a mia disposizione sta finendo» sussurrò.

«In che senso?»

«Tempo» disse Cawley a bassa voce. «Mi hanno dato quattro giorni. E sono quasi finiti.»

«Allora lasciami andare. Tornerò a Boston, compilerò una protesta formale all'ufficio federale, ma non preoccuparti, con tutti i tuoi amici potenti, sono sicuro che non servirà a molto.»

«No, Andrew» disse Cawley. «I miei amici sono quasi finiti. Sto combattendo una battaglia da otto anni, qui, e la bilancia ora ha iniziato a pendere dall'altra parte. Perderò. Perderò la mia posizione, i miei fondi. Ho giurato di fronte all'intera commissione di controllo che potevo costruire il più stravagante esperimento di drammatizzazione emotiva che la psichiatria avesse mai conosciuto, e che questo ti avrebbe salvato. Ti avrebbe riportato alla realtà. Ma se mi sbagliavo?» Spalancò gli occhi e si mise una mano sotto il mento, come se stesse tentando di rimettersi a posto la mascella. Lasciò ricadere la mano e guardò Teddy dall'altra parte della scrivania. «Non capisci, Andrew? Se tu fallisci, io fallisco. Se io fallisco, è tutto finito.»

«Wow,» disse Teddy «un vero peccato.»

Fuori un gabbiano lanciò il suo richiamo. Teddy poteva sentire l'odore del sale, del sole, della sabbia umida.

«Tentiamo in un altro modo» continuò Cawley. «Pensi che sia una coincidenza che Rachel Solando, che peraltro è un frammento della tua immaginazione, abbia nel nome le stesse lettere della tua defunta moglie e, come lei, abbia ucciso i suoi figli in passato?»

Teddy si alzò in piedi; il tremito gli scuoteva le braccia dalle spalle ai polsi. «Mia moglie non ha ucciso i suoi figli. Non abbiamo mai avuto figli.»

«Ah. Non hai mai avuto figli?» Cawley si avvicinò al muro.

«Non ne abbiamo mai avuti, stupido stronzo.»

«D'accordo.» Cawley tirò giù un altro lenzuolo.

Sul muro retrostante, il diagramma di una scena del crimine, fotografie di un lago, fotografie di tre bambini morti. E poi i nomi, scritti con le stesse lettere enormi:

 

EDWARD LAEDDIS

DANIEL LAEDDIS

RACHEL LAEDDIS

 

Teddy abbassò gli occhi e si guardò le mani: sobbalzavano come se non fossero più attaccate al suo corpo. Se avesse potuto calpestarle, lo avrebbe fatto.

«I tuoi bambini, Andrew. Hai intenzione di restare lì a negare che siano mai vissuti? Vuoi farlo davvero?»

Teddy gli puntò contro un indice tremante. «Quelli sono i figli di Rachel Solando. Quello è lo schema della scena del crimine della casa sul lago di Rachel Solando.»

«Quella è casa tua. Ti sei trasferito lì perché i dottori avevano detto che avrebbe fatto bene a tua moglie. Ricordi? Dopo che aveva accidentalmente dato fuoco al tuo appartamento precedente. "La porti fuori città", ti hanno detto, "le offra una sistemazione più bucolica. Forse migliorerà".»

«Non era malata.»

«Era pazza, Andrew.»

«Smettila di chiamarmi così, cazzo. Dolores non era pazza.»

«Tua moglie soffriva di una forma acuta di depressione. Le era stata diagnosticata una sindrome maniaco-depressiva. Aveva...»

«Non è vero» disse Teddy.

«Aveva tendenze suicide. Ha fatto del male ai bambini. Tu non hai voluto vedere. Pensavi che fosse debole. Ti sei detto che la sanità mentale era una scelta e che tutto ciò che tua moglie doveva fare era ricordarsi delle sue responsabilità. Verso di te. Verso i bambini. Bevevi e hai iniziato a bere sempre di più. Te ne stavi chiuso nel tuo guscio. Stavi lontano da casa. Hai ignorato tutti i segnali. Hai ignorato quello che ti dicevano gli insegnanti, il parroco, persino la stessa famiglia di tua moglie.»

«Mia moglie non era pazza!»

«E perché? Perché ti sentivi in imbarazzo.»

«Mia moglie non era...»

«L'unico motivo per cui è riuscita a vedere uno psichiatra è perché ha tentato il suicidio ed è finita in ospedale. Persino tu non potevi controllare una cosa del genere. E loro ti hanno detto che era un pericolo per se stessa. Ti hanno detto...»

«Non siamo mai andati da nessuno psichiatra!»

«...che era un pericolo per i bambini. Sei stato avvisato più volte.»

«Non abbiamo mai avuto figli. Ne abbiamo parlato, ma lei non riusciva a rimanere incinta.»

Cristo! Si sentiva come se qualcuno gli stesse conficcando del vetro nella testa.

«Vieni qui» disse Cawley. «Davvero. Vieni qui vicino e guarda i nomi su quelle fotografie. Ti interesserà sapere...»

«Le avete falsificate. Le avete fatte voi.»

«Tu sogni. Tu sogni tutto il tempo. Non puoi smettere di sognare, Andrew. Mi hai parlato tu di loro. Non hai visto di recente i due ragazzi e la bambina? Eh? La bambina ti ha portato alla tua lapide. Tu sei un "cattivo marinaio", Andrew. Sai cosa significa, questo? Significa che sei un cattivo padre. Non hai navigato per loro, Andrew. Non li hai salvati. Vuoi parlare dei tronchi? Eh? Vieni qui e guardali. Dimmi che non sono i bambini dei tuoi incubi.»

«Stronzate.»

«Allora guarda. Vieni qui e guarda»

«Mi drogate, uccidete il mio collega, mi dici che non è mai esistito. Mi farai rinchiudere qui dentro perché so che cosa state facendo. So degli esperimenti. So che cosa somministrate agli schizofrenici, sono al corrente dell'uso libero della lobotomia, del vostro disprezzo per il codice di Norimberga. Io ti sto alle calcagna,cazzo, dottore.»

«Davvero?» Cawley si appoggiò al muro e incrociò le braccia. «Ti prego, istruiscimi. Hai avuto via libera nel complesso negli ultimi quattro giorni. Hai avuto accesso a ogni angolo di questa struttura. Dove sono i medici nazisti? Dove sono le sale operatorie sataniche?»

Tornò alla scrivania e consultò per un attimo i suoi appunti.

«Credi ancora che facciamo il lavaggio del cervello ai pazienti, Andrew?» continuò. «Che stiamo implementando esperimenti lunghi decenni per creare - come li hai chiamati una volta? Ah, ecco qui - soldati fantasma? Assassini?»Rise. «Voglio dire... devo dartene atto, Andrew, persino in questi giorni di paranoia galoppante, le tue fantasie sono insuperabili.»

Teddy gli puntò contro un dito tremante. «Siete un ospedale sperimentale con approcci radicali a...»

«Sì, lo siamo.»

«Prendete solo i pazienti più violenti.»

«Anche questo è corretto. Ma con un'eccezione: i più violenti e i più allucinati.»

«E voi...»

«Noi cosa?»

«Fate esperimenti.»

«Sì!» Cawley batté le mani e si inchinò. «Mi dichiaro colpevole delle accuse.»

«Esperimenti chirurgici.»

Cawley alzò un dito. «Ah, no. Scusami. Non facciamo esperimenti chirurgici. La chirurgia viene usata come ultima risorsa, e quest'ultima risorsa viene impiegata quasi sempre nonostante le mie proteste. Ma io sono da solo, e nemmeno io posso cambiare da un giorno all'altro pratiche accettate da decenni.»

«Stai mentendo.»

Cawley sospirò. «Mostrami una sola prova che la tua teoria non fa acqua. Una sola.»

Teddy non disse nulla.

«E, a tutte le prove che ti ho presentato io,ti sei rifiutato di rispondere.»

«Questo perché non si tratta affatto di prove. Sono fabbricate.»

Cawley unì le mani e se le portò alle labbra, come in preghiera.

«Lasciami andare via dall'isola» disse Teddy. «Come agente federale nominato dal governo, pretendo che mi lasciate andare.»

Cawley chiuse gli occhi per un istante. Quando li riaprì erano più limpidi e duri di prima. «Okay, okay. Mi ha beccato, agente. Ecco, adesso ti rendo le cose facili.»

Prese una borsa di pelle morbida dal pavimento, slacciò le fibbie, l'aprì e buttò la pistola di Teddy sul tavolo.

«Questa è la tua pistola, giusto?»

Teddy fissò l'arma.

«Quelle incise sull'impugnatura sono le tue iniziali, giusto?»

Teddy sbirciò, con il sudore che gli bruciava gli occhi.

«Sì o no, agente? È la tua pistola?»

Teddy poteva vedere l'ammaccatura sulla canna che risaliva al giorno in cui Phillip Stacks gli aveva sparato e aveva colpito la pistola invece che colpire lui, e poi era rimasto ferito dal suo stesso proiettile di rimbalzo. Vide le iniziali E.D. incise sull'impugnatura, un regalo dell'ufficio dopo la sparatoria con Breck nel Maine. E lì, nella parte inferiore del paragrilletto, il metallo si era graffiato e rovinato quella volta in cui aveva lasciato cadere la pistola durante un inseguimento a St. Louis, nell'inverno del '49.

«È la tua pistola?»

«Sì.»

«Prendila in mano, agente. Assicurati che sia carica.»

Teddy guardò la pistola, poi Cawley.

«Continua, agente. Prendila.»

Teddy sollevò la pistola dal tavolo. Gli tremava nella mano.

«È carica?» domandò Cawley.

«Sì.»

«Ne sei sicuro?»

«Posso sentire il peso.»

Cawley annuì. «Allora spara. Perché è l'unico modo che hai per andartene da quest'isola.»

Teddy tentò di stabilizzare il braccio con l'altra mano, ma anche quella tremava in modo incontrollabile. Respirò profondamente diverse volte, mirando lungo la canna attraverso il velo di sudore che aveva sugli occhi e nonostante il tremito che gli sconvolgeva il corpo, vide Cawley nel mirino, distante poco più di mezzo metro al massimo, ma l'immagine si spostava da una parte all'altra, dal basso in alto, come se fossero entrambi sul ponte di una barca nel mare agitato.

«Hai cinque secondi, agente.»

Cawley prese il telefono dalla radio e girò la manopola. Teddy lo osservò portarsi l'apparecchio alla bocca.

«Tre secondi, adesso. Tira quel grilletto, oppure passerai il resto dei tuoi giorni sull'isola.»

Teddy poteva sentire il peso della pistola. Nonostante il tremito, aveva una possibilità di farcela, se la coglieva ora. Uccidere Cawley, uccidere chiunque lo stesse aspettando fuori.

Cawley disse: «Guardiano, può mandarlo di sopra».

E la vista di Teddy si schiarì e il tremito si ridusse a una piccola vibrazione. Guardò lungo la canna mentre Cawley rimetteva a posto la trasmittente.

Cawley aveva un'espressione curiosa sul volto, come se soltanto in quel momento si fosse reso conto che Teddy poteva avere ancora abbastanza padronanza di sé da sparare davvero.

Sollevò una mano.

Disse: «Okay, d'accordo».

E Teddy gli sparò al centro del petto.

Poi sollevò le mani di mezzo centimetro e gli sparò in faccia.

Con l'acqua.

Cawley si accigliò. Poi strizzò gli occhi diverse volte. Prese un fazzoletto dalla tasca.

La porta si aprì alle spalle di Teddy. Lui si voltò e prese la mira, mentre un uomo entrava nella stanza.

«Non sparare» disse Chuck. «Ho dimenticato di mettermi l'impermeabile.»

 

23

 

Cawley si asciugò la faccia con il fazzoletto e tornò a sedersi. Chuck girò intorno al tavolo, portandosi al fianco di Cawley. Teddy voltò la pistola e la fissò.

Poi guardò Chuck che si sedeva. Notò che indossava un camice da laboratorio.

«Credevo fossi morto» disse Teddy.

«No» rispose Chuck.

D'un tratto era difficile pronunciare le parole. Si sentì incerto e balbettante, proprio come la donna-medico gli aveva predetto. «Io... io... ero pronto a morire per portarti fuori di qui. Io...» Lasciò cadere la pistola sul tavolo e sentì le forze che lo abbandonavano.

Cadde pesantemente sulla sedia, incapace di continuare.

«Mi dispiace davvero per questo» disse Chuck. «Il dottor Cawley e io ci siamo tormentati per settimane prima di mettere in scena tutta questa faccenda. Non avrei mai voluto che ti sentissi tradito o provocarti angosce non necessarie. Devi credermi. Ma eravamo sicuri di non avere alternative.»

«Il tempo stringe, non ne abbiamo più» disse Cawley. «Questo era il nostro ultimo tentativo disperato per riportarti alla realtà, Andrew. Un tentativo estremo, anche per questo posto, ma speravo che funzionasse.»

Teddy tentò di togliersi il sudore dagli occhi, ma finì per peggiorare le cose. Attraverso il velo bruciante, guardò Chuck.

«Chi sei?» gli chiese.

Chuck allungò una mano attraverso la scrivania. «Dottor Lester Sheehan» disse.

Teddy lasciò la mano dov'era e, alla fine, Sheehan la ritrasse.

«Così» disse Teddy respirando dal naso, «mi fai parlare e riparlare su come sia necessario scovare Sheehan quando tu... tu sei Sheehan.»

Sheehan annuì.

«Mi chiamavi "capo". Mi raccontavi barzellette. Mi tenevi occupato. Mi tenevi d'occhio sempre, vero Lester?»

Lo guardò e Sheehan tentò di mantenere lo sguardo, ma alla fine abbassò gli occhi sulla sua cravatta e se l'agitò contro il petto. «Dovevo tenerti d'occhio, assicurarmi che non ti accadesse nulla.»

«Ah» disse Teddy. «Quindi questo sistema ogni cosa. È morale.»

Sheehan lasciò ricadere la cravatta. «Ci conosciamo da due anni, Andrew.»

«Quello non è il mio nome.»

«Sono stato il tuo psichiatra di riferimento. Per due anni. Guardami. Non mi riconosci nemmeno?»

Teddy adoperò il polsino della giacca per togliersi il sudore dagli occhi, e questa volta riuscì a schiarirsi la vista. Guardò Chuck dalla parte opposta della scrivania. Il vecchio Chuck con la sua goffaggine con le armi e quelle mani che non corrispondevano ai requisiti richiesti dal suo lavoro perché non erano le mani di un poliziotto. Erano le mani di un medico.

«Eri mio amico» disse Teddy. «Mi fidavo di te. Ti ho raccontato di mia moglie. Ti ho parlato di mio padre. Mi sono calato da una maledetta scarpata per venirti a cercare. Mi stavi tenendo d'occhio anche allora? Ti stavi assicurando che non mi accadesse niente? Eri mio amico, Chuck. Oh, scusami... Lester.»

Lester accese una sigaretta e Teddy notò con piacere che anche a lui tremavano le mani. Non molto. Non come tremavano le mani di Teddy, e il tremito cessò non appena si fu acceso la sigaretta ed ebbe buttato il fiammifero in un posacenere. Eppure...

"Spero che ce l'abbia anche tu" pensò Teddy. "Qualsiasi cosa sia."

«Già,» disse Sheehan (e Teddy dovette rammentare a se stesso di non pensare a lui come a Chuck) «ti stavo tenendo al sicuro. La mia sparizione... sì, era parte della tua fantasia. Ma avresti dovuto dare un'occhiata al foglio di ricovero di Laeddis sulla strada, non giù dalla scarpata. L'ho fatto cadere dal promontorio per errore. Lo stavo tirando fuori dalla tasca e mi è volato via. Sono andato giù a cercarlo perché sapevo che, se non l'avessi fatto io, l'avresti fatto tu. E mi sono bloccato. Appena sotto il cornicione. Venti minuti dopo, sei sceso proprio di fronte a me. Voglio dire, a venti centimetri da me. Stavo per allungare una mano e afferrarti.»

Cawley si schiarì la voce. «Siamo stati quasi sul punto di rinunciare quando abbiamo visto che volevi scendere da quella scogliera. Forse avremmo dovuto.»

«Rinunciare.» Teddy trattenne a stento una risata con il palmo della mano.

«Sì» ribadì Cawley. «Rinunciare. Quésta è stata una commedia, Andrew. Una...»

«Mi chiamo Teddy.»

«...commedia. L'hai scritta tu. Noi ti abbiamo aiutato a metterla in scena. Ma la commedia non avrebbe funzionato senza un finale, e il finale era sempre quello: tu che raggiungevi questo faro.»

«Molto convincente» disse Teddy, guardando i muri intorno a sé.

«Ci hai raccontato questa storia per quasi due anni. Come sei arrivato qui per cercare una paziente scomparsa e ti sei imbattuto nei nostri esperimenti chirurgici di ispirazione nazista. Lavaggi del cervello ispirati dai sovietici. Ci hai raccontato di come la paziente Rachel Solando ha ucciso i suoi bambini, in un modo molto simile a quello che tua moglie ha adoperato per uccidere i vostri. Di come, proprio quando ti stavi avvicinando alla soluzione, il tuo compagno - e non ti piace il nome che gli hai dato? Chuck Aule. Voglio dire, Gesù, prova a dirlo un paio di volte velocemente. È solo un altro dei tuoi scherzi, Andrew - sia stato preso e tu sia rimasto a badare a te stesso, ma che alla fine ti abbiamo beccato. Ti abbiamo drogato. E di come venivi incastrato prima di poter tornare a raccontare la tua storia all'immaginario senatore Hurly. Vuoi i nomi dei senatori attuali dello stato del New Hampshire, Andrew? Li ho qui.»

«E avete montato tutto questo?» disse Teddy.

«Sì.»

Teddy scoppiò a ridere. Rise forte come non aveva più riso da quando Dolores era morta. Rise e sentì l'eco della propria risata arrotolarsi su se stessa e unirsi al torrente che ancora gli stava uscendo dalla bocca, e l'eco rotolò sopra di lui e permeò le pareti di roccia e quindi esplose verso l'oceano.

«Come si mette in scena un uragano?» disse, battendo una mano sul tavolo. «Dimmi questo, dottore.»

«Non si può fingere un uragano» disse Cawley.

«No,» disse Teddy «non potete.» E diede un'altra manata sul tavolo.

Cawley gli guardò la mano, poi lo guardò negli occhi. «Ma di tanto in tanto se ne può prevedere uno, Andrew. In special modo su un'isola.»

Teddy scosse la testa. Si sentiva ancora un sorriso sarcastico appiccicato alla faccia, anche se ora non aveva più calore e probabilmente dall'esterno sembrava un sorriso stupido e debole. «Certo che non vi arrendete mai.»

«Una tempesta era essenziale per la tua fantasia» disse Cawley. «Così ne abbiamo aspettata una.»

«Bugie» disse Teddy.

«Bugie? Spiegami gli anagrammi. Spiegami come mai i bambini in quelle fotografie - bambini che non avresti mai visto se fossero di Rachel Solando - sono gli stessi bambini dei tuoi sogni. Spiegami, Andrew, come facevo a sapere cosa dirti quando sei entrato da questa porta. "Perché sei tutto bagnato, piccolino?" Credi che io sia capace di leggere nel pensiero?»

«No» rispose Teddy. «Credo di essere stato bagnato.»

Per un attimo, Cawley ebbe l'aspetto di qualcuno a cui stava per volar via la testa. Fece un respiro profondo, giunse le mani e si sporse sulla scrivania. «La tua pistola era ad acqua. I tuoi codici? Lo dimostrano, Andrew. Stai giocando agli enigmi con te stesso. Guarda il codice nel tuo taccuino. L'ultimo. Guardalo, Otto lettere. Tre righe. Due, tre, tre. Dovrebbe essere facilissimo da decifrare. Guardalo.»

Teddy abbassò gli occhi sulla pagina:

 

9(i) 21(u) 5(e) 21(u) 19(s) 9(i) 20(t) 12(l)

 

«Abbiamo sempre meno tempo» disse Lester Sheehan. «Ti prego di capire che le cose stanno cambiando. La psichiatria sta cambiando. Ha combattuto la sua guerra per qualche tempo ma adesso noi stiamo perdendo.»

 

i u e u s i t l

 

«Sì?» disse Teddy in tono assente. «E chi sarebbero i "noi"?»

Fu Cawley a rispondere. «Uomini che credono che il modo per raggiungere la mente umana non siano punte di ghiaccio nel cervello o dosaggi elevati di farmaci pericolosi, ma un onesto riconoscimento del sé.»

«Un onesto riconoscimento del sé» ripeté Teddy. «Accidenti, questa è davvero buona.»

Tre righe, aveva detto Cawley. Due, tre, tre. Le lettere che componevano le parole, probabilmente.

«Ascoltami» disse Sheehan. «Se falliamo qui, abbiamo perso. Non soltanto con te. Adesso come adesso, l'equilibrio del potere è nelle mani dei chirurghi, ma le cose cambieranno alla svelta. I sostenitori dei farmaci prenderanno il sopravvento e il loro regno non sarà meno barbaro. Lo sembrerà soltanto. Si continuerà a segregare i pazienti e a trasformarli in zombie, ma in un modo che convincerà di sicuro l'opinione pubblica.»

«Qui, in questo posto, è tutto nelle tue mani, Andrew.»

«Mi chiamo Teddy. Teddy Daniels.»

Teddy immaginò che la prima riga, probabilmente, fosse un "tu".

«Naehring ha già prenotato la sala operatoria per te, Andrew.»

Teddy sollevò lo sguardo dalla pagina.

Cawley annuì. «Ci hanno dato quattro giorni. Se falliamo, finisci sotto i ferri.»

«Per fare cosa?»

Cawley guardò Sheehan. Sheehan fissò la punta della sua sigaretta.

«Sotto i ferri per cosa?» ripeté Teddy.

Cawley aprì la bocca per parlare, ma Sheehan lo interruppe, con voce stanca: «Lobotomia transorbitale».

Teddy batté le palpebre più volte e tornò a guardare la pagina e trovò la seconda parola: "Sei".

«Proprio come Noyce» disse. «Suppongo che ora mi direte che nemmeno lui è qui.»

«È qui» disse Cawley. «E molto della storia che hai raccontato al dottor Sheehan su di lui corrisponde a verità, Andrew. Ma non è mai tornato da Boston. Non l'hai mai incontrato in una prigione. È qui dall'agosto del '50. È arrivato davvero al punto in cui è stato trasferito dal padiglione C e ha ottenuto fiducia sufficiente per vivere nel padiglione A. Ma poi tu l'hai assalito.»

Teddy sollevò lo sguardo dalle ultime tre lettere. «Io cosa?»

«L'hai assalito. Due settimane fa. L'hai quasi ucciso.»

«E perché avrei dovuto farlo?»

Cawley guardò Sheehan.

«Perché ti ha chiamato Laeddis» disse Sheehan.

«No, non l'ha fatto. L'ho visto ieri e lui...»

«Lui cosa?»

«Non mi ha chiamato Laeddis, questo è sicuro.»

«No?» Cawley aprì il suo taccuino. «Ho la trascrizione della vostra conversazione. Ho anche le registrazioni su nastro nel mio studio, ma per ora accontentiamoci di questo. Dimmi se ti suona familiare.» Si aggiustò gli occhiali, il capo chino sulla pagina. «Sto citando parola per parola, qui. "Ha a che fare con te. E, Laeddis, è sempre questo. Io sono stato un incidente. Ero solo un modo per farti entrare".»

Teddy scosse la testa. «Non mi sta chiamando Laeddis. Hai spostato l'accento, l'enfasi della frase. Stava dicendo "questo ha a che fare con te", e intendeva me e Laeddis.»

Cawley ridacchiò. «Sei davvero incredibile.»

Teddy sorrise. «Stavo pensando la stessa cosa di te.»

Cawley guardò la trascrizione. «Che mi dici di questo... ti ricordi di aver domandato a Noyce che cosa gli era successo alla faccia?»

«Certo. Gli ho chiesto chi era il responsabile.»

«Le tue esatte parole sono state "Chi è stato?". Giusto?»

Teddy annuì.

«E Noyce ha risposto, sto leggendo dagli appunti: "Sei stato tu".»

Teddy disse: «Sì, ma...».

Cawley lo guardò come si guarda un insetto sotto vetro. «Sì?»

«Stava parlando come...»

«Ti ascolto.»

Teddy aveva dei problemi a mettere una parola dietro l'altra, a seguire il filo del discorso.

«Stava dicendo» parlò lentamente, deliberatamente «che il mio fallimento nell'impedire che lo riportassero lì aveva portato, in modo indiretto, al suo pestaggio. Non stava dicendo che ero stato io a picchiarlo.»

«Ha detto: "Sei stato tu".»

Teddy si strinse nelle spalle. «L'ha detto, ma non siamo d'accordo sull'interpretazione del significato.»

Cawley voltò una pagina. «Che mi dici di questo, allora? È Noyce che parla: "Lo sapevano. Non capisci? Sapevano tutto quello che volevi fare. Conoscono il tuo piano, per intero. Questo è un gioco. Una messinscena tirata su benissimo. Tutto questo è stato messo su per te".»

Teddy si appoggiò. «Tutti questi pazienti, tutte queste persone che dovrei conoscere da due anni, e nessuno di loro che mi dice una parola mentre io stavo interpretando la mia... uhm... mascherata negli ultimi quattro giorni?»

Cawley chiuse il taccuino. «Sono abituati. È un anno che mostri in giro quel tuo distintivo di plastica. All'inizio pensavo che fosse un test importante dartelo e vedere come avresti reagito. Ma l'hai usato in un modo che non sarei mai riuscito a prevedere. Continua. Apri il tuo portafogli. Dimmi se è di plastica oppure no, Andrew.»

«Lasciami finire di decifrare il codice.»

«Hai quasi finito. Ti mancano tre lettere. Ti serve aiuto, Andrew?»

«Teddy.»

Cawley scosse la testa. «Andrew. Andrew Laeddis.»

«Teddy.»

Cawley lo vide sistemare le lettere sulla pagina.

«Cosa dice?»

Teddy scoppiò a ridere.

«Diccelo.»

Teddy scosse la testa.

«No, ti prego, dicci la soluzione dell'enigma.»

«L'avete fatto voi» disse Teddy. «Avete lasciato voi quei codici. Avete creato voi il nome Rachel Solando usando il nome di mia moglie. Siete stati voi.»

Cawley parlò lentamente, scandendo le parole. «Cosa dice il codice?»

Teddy voltò il taccuino affinché loro potessero vedere la pagina:

 

tu

sei

lui

 

«Soddisfatti?» disse Teddy.

Cawley si alzò in piedi. Sembrava esausto. Tirato fino all'estremo. Parlò in un tono desolato che Teddy non gli aveva mai sentito.

«Ci speravamo. Speravamo di poterti salvare. Abbiamo messo in gioco la nostra reputazione. E adesso si spargerà la voce che abbiamo permesso a un paziente di mettere in atto la sua fantasia più grande e tutto ciò che abbiamo ottenuto sono state un paio di guardie ferite e una macchina bruciata. Personalmente, non ho problemi con l'umiliazione professionale.» Fissò fuori dalla piccola finestrella quadrata. «Forse sono troppo avanti per questo posto. O forse il contrario. Ma un giorno o l'altro, agente, e non è un giorno molto lontano, cureremo le esperienze umane con le esperienze umane. Lo capisci questo?»

Teddy non gli diede soddisfazione. «Non proprio.»

«Mi aspettavo che non avresti capito.» Cawley annuì e incrociò le braccia. Fatta eccezione per la brezza e il fragore delle onde dell'oceano, la stanza rimase in silenzio per un lunghissimo istante. «Sei un soldato pluridecorato specialista del corpo a corpo. Da quando sei arrivato qui, hai ferito otto guardie, senza tener conto delle due di oggi, quattro pazienti e cinque inservienti. Il dottor Sheehan e io abbiamo lottato per te con tutte le nostre forze e al massimo delle nostre capacità. Ma la maggior parte del personale clinico e il cento per cento del personale carcerario pretende che gli mostriamo dei risultati, oppure che ti rendiamo innocuo.»

Si allontanò dalla finestra, si chinò sulla scrivania e fissò Teddy con quel suo sguardo triste e rabbuiato. «Questo era il nostro ultimo sussulto, Andrew. Se non accetti chi sei e ciò che hai fatto, se non fai uno sforzo per avvicinarti alla sanità mentale, non possiamo salvarti.»

Porse la mano a Teddy.

«Stringila» disse, e la sua voce era rauca, sfinita. «Ti prego. Andrew? Aiutami a salvarti.»

Teddy gli strinse la mano.

Gliela strinse con fermezza. Diede a Cawley la sua stretta migliore, gli rivolse il suo sguardo più schietto. Sorrise.

«Smettila di chiamarmi Andrew» disse.

 

24

 

Lo portarono al padiglione C in catene.

Una volta dentro, lo trascinarono giù nel sotterraneo dove gli uomini gli gridarono dalle loro celle. Gli promisero di fargli del male. Gli promisero di stuprarlo.

Uno giurò che l'avrebbe messo allo spiedo come un porcellino e gli avrebbe mangiato le dita una a una.

Mentre restava con le mani legate, con due guardie ai fianchi, un'infermiera entrò nella cella e gli iniettò qualcosa nel braccio.

Aveva capelli color fragola e odorava di sapone e Teddy colse un soffio del suo alito quando si chinò su di lui per fargli l'iniezione, e la riconobbe.

«Tu hai fatto finta di essere Rachel» disse.

Lei disse: «Tenetelo».

Le guardie lo afferrarono per le spalle, gli raddrizzarono le braccia.

«Eri tu. Ti eri tinta i capelli. Sei Rachel.»

Lei disse: «Non ti muovere» e gli conficcò l'ago nel braccio.

Lui la guardò negli occhi. «Sei un'attrice eccellente. Voglio dire, mi hai fregato davvero, con tutti i tuoi discorsi sul tuo caro, defunto Jim. Molto convincente, Rachel.»

Lei abbassò lo sguardo.

«Mi chiamo Emily» disse l'infermiera, e tolse l'ago. «Adesso dormi.»

«Ti prego» disse Teddy.

Lei si fermò sulla porta della cella e si voltò a guardarlo.

«Eri tu» insistette lui.

Il cenno di assenso non fu della testa. Fu negli occhi, un minuscolo movimento verso il basso, e poi lei gli rivolse un sorriso così dolce che lui avrebbe voluto baciarle i capelli.

«Buonanotte» disse Emily.

Non sentì le guardie che gli toglievano le manette, non le sentì andare via. I suoni provenienti dalle altre celle morirono e l'aria più vicina alla sua faccia si fece ambrata. Si sentì come se fosse sdraiato sulla schiena al centro di una nuvola umida e le sue mani e i suoi piedi si fossero trasformati in spugne.

E sognò.

E nei suoi sogni Dolores viveva in una casa accanto a un lago.

Perché avevano dovuto lasciare la città.

Perché la città era cattiva, la città era violenta.

Perché lei aveva dato fuoco al loro appartamento di Buttonwood. Tentando di liberarlo dai fantasmi.

Sognò del loro amore che era saldo come acciaio, resistente al fuoco, alla pioggia o alle martellate.

Sognò che Dolores era pazza.

E la sua Rachel gli disse, una sera che lui era ubriaco, ma non tanto ubriaco da non averle letto una favola della buonanotte, la sua Rachel gli disse: «Papà?».

E lui: «Cosa, tesoro?».

«La mamma a volte mi guarda in modo strano.»

«Strano come?»

«Strano e basta.»

«Ti fa ridere?»

La bambina scosse la testa.

«No?»

«No» confermò lei.

«Be', allora com'è che ti guarda?»

«Come se io la rendessi molto triste.»

E lui le rimboccò le coperte, le diede il bacio della buonanotte, le fece il solletico sul collo con il naso e le disse che una bambina come lei non poteva rendere triste proprio nessuno.

Non poteva.

Mai.

Un'altra notte, andando a letto, Dolores si stava sfregando le cicatrici che aveva sui polsi e lo guardò dal letto, dicendo: «Quando vai nell'altro posto, una parte di te non torna indietro».

«Quale altro posto, tesoro?» Si tolse l'orologio e lo posò sul comodino.

«E hai presente quella parte di te che lo fa?» Lei si morse il labbro e sembrò sul punto di picchiarsi i pugni in faccia. «Non dovrebbe farlo.»

Dolores pensava che il macellaio all'angolo fosse una spia. Diceva che lui le sorrideva mentre il sangue gli colava dal coltello, e lei era sicura che sapesse parlare in russo.

Diceva che a volte le sembrava di poter sentire quel coltello nel petto.

Una volta, mentre erano al Fenway Park a guardare una partita di baseball, suo figlio gli disse: «Potremmo vivere qui».

«Ma noi viviamo qui.»

«Nel parco, voglio dire.»

«Che cosa c'è che non va nel posto in cui viviamo?»

«Troppa acqua.»

Teddy bevve un sorso dalla fiaschetta. Guardò suo figlio. Era alto e forte, ma piangeva troppo alla svelta per un ragazzo della sua età e si spaventava facilmente. Era così che stavano crescendo i ragazzi d'oggi, rammolliti e viziati dal boom economico. Teddy si augurò che sua madre fosse ancora viva perché potesse insegnare ai suoi nipoti che bisognava diventare duri e forti. Al mondo non importava nulla. Non dava niente. Prendeva e basta.

Quelle lezioni potevano venire da un uomo, ovviamente, ma era una donna a poter instillare quei concetti in modo permanente.

Dolores, però, riempiva le loro teste di sogni, fantasie, li portava troppo al cinema, al circo e alle fiere.

Bevve un altro sorso dalla fiaschetta e disse a suo figlio: «Troppa acqua, quindi. Nient'altro?».

«Nossignore.»

Le diceva: «Cosa c'è che non va? Cosa posso fare? Cosa ti manca? Cos'è che non ti do? Come posso renderti felice?».

E lei rispondeva: «Io sono felice».

«No, non lo sei. Dimmi che cosa devo fare. Lo farò.»

«Sto bene.»

«Ti arrabbi sempre così tanto. E, se non sei arrabbiata, sei troppo felice, ti arrampichi sui muri.»

«E allora?»

«Fai spaventare i bambini. E spaventi me. Tu non stai bene.»

«Invece sì.»

«Sei sempre triste.»

«No» diceva lei. «Grazie.»

 

Parlò con il prete e lui venne un paio di volte in visita. Parlò con le sorelle di lei, e la sorella più vecchia, Delilah, una volta venne dalla Virginia per una settimana, e per un po' la cosa sembrò funzionare.

Evitarono entrambi di suggerire un parere medico. I medici erano gente pazza. Dolores non era pazza. Dolores era soltanto tesa.

Tesa e triste.

 

Teddy sognò che una notte lei si era svegliata e gli aveva detto di andare a prendere il fucile. Il macellaio era entrato in casa, gli disse. Era di sotto, in cucina. Stava usando il loro telefono, parlando in russo.

 

Quella sera sul marciapiede di fronte al Cocoanut Grove, chinato verso il taxi, il volto a pochi centimetri da quello di lei...

L'aveva guardata e aveva pensato: "Ti conosco. Ti conosco da tutta la vita. Stavo aspettando. Stavo aspettando che tu arrivassi. Ho aspettato tutti questi anni. Ti conosco fin da prima di essere nato".

Era così, semplicemente.

Non aveva sentito la disperazione del soldato di fare del sesso con lei prima di imbarcarsi perché, in quel momento, aveva saputo con certezza che sarebbe tornato dalla guerra. Sarebbe tornato perché gli dèi non allineano le stelle per farti incontrare la tua anima gemella e poi te la portano via.

Si era sporto nel taxi e le aveva detto proprio questo.

E aveva detto: «Non preoccuparti. Tornerò a casa».

Lei gli aveva sfiorato il viso con un dito. «Fallo, d'accordo?»

 

Sognò di tornare a casa, alla casa sul lago.

Era stato in Oklahoma. Aveva trascorso due settimane a dare la caccia a un tipo dai magazzini del porto di South Boston fino a Tulsa, con almeno dieci fermate intermedie, sempre un passo indietro, finché non era andato letteralmente a sbattere contro la sua preda mentre il tipo stava uscendo dalla toilette di un distributore di benzina.

Tornò a casa alle undici del mattino, grato che fosse un giorno feriale e i bambini fossero a scuola. Sentiva la strada nelle ossa e un desiderio acuto del suo cuscino. Entrò in casa e chiamò Dolores mentre si versava uno scotch doppio. Lei entrò dal giardino sul retro e disse: «Non ce n'era abbastanza».

Lui si voltò con il bicchiere in mano e chiese: «Che c'è, tesoro?» e si accorse che era bagnata, come se fosse appena uscita dalla doccia, solo che indossava un vecchio vestito scuro stampato a fiori, un po' sbiadito. Era a piedi nudi e l'acqua le colava dai capelli e le sgocciolava dal vestito.

«Piccolina,» disse «perché sei tutta bagnata?»

«Non ce n'era abbastanza» disse lei, e appoggiò una bottiglia sul ripiano della cucina. «Sono ancora sveglia.»

E tornò fuori.

Teddy la vide camminare verso il gazebo, a passi lunghi e incerti, ondeggiando sulle gambe. Depose il bicchiere sul ripiano, prese la bottiglia e vide che era il laudano che il dottore le aveva prescritto dopo il suo ricovero in ospedale. Se Teddy doveva partire per un viaggio, metteva il numero di cucchiai che immaginava lei avesse bisogno di prendere mentre lui era via in una piccola bottiglietta nel suo armadietto dei medicinali. Poi prendeva quella bottiglia e la chiudeva a chiave in cantina.

In quella bottiglia c'erano dosi per sei mesi, e lei se l'era scolata fino all'ultima goccia.

La vide inciampare sui gradini del gazebo, cadere in ginocchio e rialzarsi di nuovo.

Com'era riuscita a recuperare la bottiglia? Quella della dispensa in cantina non era una serratura ordinaria. Un uomo forte con un paio di cesoie non sarebbe riuscito a far saltare il lucchetto. Lei non poteva averlo scassinato, e Teddy possedeva l'unica chiave.

La osservò sedersi sulla sedia a dondolo al centro del gazebo e guardò la bottiglia. Ricordava di essere stato proprio lì in quel punto la sera che era partito, aggiungendo le cucchiaiate di medicina alla bottiglietta più piccola mentre si beveva un paio di bicchieri di Rye guardando fuori verso il lago; ricordava di aver messo la bottiglietta più piccola nell'armadietto dei medicinali, di essere salito di sopra per salutare i bambini e poi di essere sceso mentre squillava il telefono. Aveva preso la chiamata del suo ufficio, aveva afferrato il cappotto e la valigia, aveva baciato Dolores sulla porta e si era diretto verso la macchina...

...e aveva lasciato la bottiglia più grande sul ripiano della cucina.

Uscì dalla porta a zanzariera e attraversò il prato fino al gazebo, salì i gradini e lei lo guardò arrivare, bagnata fradicia, una gamba che ondeggiava per spingere pigramente il dondolo.

«Tesoro,» le disse «quando hai bevuto tutta la bottiglia?»

«Stamattina.» Gli fece la linguaccia e poi gli rivolse un sorriso stanco mentre sollevava lo sguardo sul tetto incurvato del gazebo. «Non è abbastanza, però. Non riesco a dormire. Voglio solo dormire. Sono troppo stanca.»

Teddy vide i tronchi galleggiare nel lago dietro di lei e capì che non erano tronchi, ma distolse lo sguardo, tornò a fissare sua moglie.

«Perché sei stanca?»

Lei si strinse nelle spalle, agitando le braccia. «Stanca di tutto questo. Così tanto stanca. Voglio solo tornare a casa.»

«Sei a casa.»

Lei indicò il soffitto. «Casa-casa» disse.

Teddy guardò di nuovo quei tronchi, che roteavano delicatamente nell'acqua.

«Dov'è Rachel?»

«A scuola.»

«È troppo piccola per andare a scuola, tesoro.»

«Non alla mia scuola» disse sua moglie, e gli mostrò i denti.

E Teddy gridò. Gridò così forte che Dolores cadde dal dondolo e lui saltò sopra di lei, saltò oltre la balaustra del gazebo e continuò a correre gridando, gridando «no», gridando «Dio», gridando «ti prego», gridando «non i miei bambini», gridando «Gesù», gridando «oh no oh no oh no».

E si tuffò nell'acqua. Inciampò, cadde a faccia in avanti, andò sott'acqua e l'acqua lo ricoprì come olio e lui nuotò in avanti e nuotò e arrivò in mezzo a loro. I tre tronchi. I suoi bambini.

Edward e Daniel erano a faccia in giù, ma Rachel era sulla schiena, gli occhi aperti a fissare il cielo, la desolazione di sua madre impressa nelle pupille, lo sguardo immobile a fissare le nubi.

Li portò fuori uno per uno e li adagiò sulla riva. Fece molta attenzione. Li tenne con fermezza, ma gentilmente. Poteva sentire le loro ossa. Accarezzò loro le guance. Accarezzò le spalle e le costole e le gambe e i piedi. Li baciò più e più volte.

Poi cadde in ginocchio e vomitò finché non gli bruciò il petto e il suo stomaco sembrò lacerarsi.

Tornò indietro e ripiegò loro le braccia sul petto, e si accorse che Rachel e Daniel avevano i polsi segnati dalle corde, e capì che Edward era stato il primo a morire. Gli altri due avevano aspettato, sentendo tutto, sapendo che lei sarebbe tornata a fare lo stesso con loro.

Baciò ognuno dei suoi bambini ancora una volta su entrambe le guance e sulla fronte, poi chiuse gli occhi di Rachel.

Avevano scalciato tra le sue braccia mentre li trascinava verso l'acqua? Avevano gridato? Oppure si erano lasciati andare e gemevano, rassegnati?

Vide sua moglie nel vestito viola la sera che l'aveva incontrata e vide l'espressione del suo volto in quell'attimo in cui l'aveva vista, l'espressione che l'aveva fatto innamorare. Aveva pensato che si trattasse soltanto del vestito, della sua insicurezza nell'indossare un vestito così bello in un club tanto raffinato. Ma non era quello. Era terrore, a malapena controllato, e c'era sempre stato. Era terrore del mondo esterno: dei treni, delle bombe, dei carretti rumorosi per la strada, dei ladri, delle strade buie, dei russi, dei sottomarini, delle taverne piene di uomini irati, degli oceani pieni di squali, degli asiatici che tenevano libri rossi in una mano e fucili nell'altra.

Dolores aveva paura di tutto questo e anche di tante altre cose, ma ciò che la terrorizzava più di ogni altra cosa era dentro di lei, un insetto di intelligenza superiore che aveva vissuto da sempre nel suo cervello, giocandoci, zampettandoci dentro, strappando fili ogni volta che ne aveva voglia.

Teddy lasciò i suoi bambini e rimase seduto sul pavimento del gazebo per un tempo lunghissimo, osservandola dondolare, e la cosa peggiore era quanto la amava. Se avesse potuto sacrificare la sua mente per ridarle la sua, l'avrebbe fatto. Vendere le braccia? Nessun problema. Lei era stata tutto l'amore che avesse mai provato. Era stata ciò che gli aveva permesso di tirare avanti durante la guerra, di sopravvivere in quel mondo orribile. L'amava più della sua stessa vita, più della sua stessa anima.

Ma l'aveva tradita. Aveva tradito i suoi bambini. Aveva tradito le vite che avevano costruito insieme perché si era rifiutato di vedere Dolores, di vederla veramente, di vedere che la sua follia non era colpa sua, non era qualcosa che lei potesse controllare, non era una prova di una debolezza morale o di una qualche mancanza di forza interiore.

Si era rifiutato di vederla perché, se lei era davvero il suo amore, la sua immortale anima gemella, allora lui che cos'era? Cos'era il suo cervello, la sua sanità mentale, la sua debolezza morale?

E così si era nascosto. Si era nascosto da quella consapevolezza, si era nascosto da lei. L'aveva lasciata sola, lei, il suo unico amore, e aveva lasciato che la sua mente si consumasse.

La osservò dondolare. Oh, Cristo, quanto l'amava.

L'amava (e questo lo faceva vergognare profondamente) più dei suoi figli.

Ma più di Rachel?

Forse no. Forse no.

Vide Rachel nelle braccia di sua madre mentre sua madre la portava verso l'acqua. Vide gli occhi di sua figlia spalancarsi mentre scendeva nelle profondità del lago.

Guardò sua moglie, continuando a vedere sua figlia, e pensò: "Tu, crudele, malvagia, pazza puttana".

Teddy rimase seduto sul pavimento del gazebo e pianse. Non sapeva per quanto tempo avesse pianto. Pianse e vide Dolores sulla porta mentre lui le portava dei fiori, Dolores che lo guardava durante la luna di miele, Dolores con il vestito viola e incinta di Edward, Dolores che gli toglieva un ciglio dalla guancia mentre si allontanava per sfuggire scherzosamente al suo bacio, la vide raggomitolata tra le sue braccia mentre gli accarezzava una mano ridendo e gli regalava uno dei suoi sorrisi della domenica mattina, la vide fissarlo mentre il resto della sua faccia sembrava crollare intorno a quegli occhi troppo grandi e lei sembrava così spaventata e così sola, sempre, sempre, una parte di lei, sempre così sola...

Si alzò in piedi. Gli tremavano le ginocchia.

Si sedette accanto a sua moglie e lei disse: «Sei il mio brav'uomo».

«No» disse lui. «Non è vero.»

«Lo sei.» Lei gli prese la mano. «Tu mi ami. Lo so. So che non sei perfetto.»

Cosa avevano pensato Daniel e Rachel quando si erano svegliati? Perché la loro mamma stava legando i loro polsi con una corda? Quando l'avevano guardata negli occhi?

"Oh, Cristo."

«Io ti amo. Ma tu sei mio. E ci provi.»

«Oh, tesoro,» disse lui «ti prego, non dire nient'altro.»

Ed Edward. Edward doveva aver tentato di scappare. Lei doveva averlo inseguito per tutta la casa.

Dolores era felice, adesso, brillante. «Mettiamoli in cucina» disse.

«Cosa?»

«Gli cambiamo i vestiti.» Gli sussurrò all'orecchio.

Non riusciva a immaginarsela in una scatola, una scatola con le pareti imbottite bianche e con una piccola finestrella-spioncino sulla porta.

«Stanotte li lasceremo dormire nel lettone con noi.»

«Ti prego, smetti di parlare.»

«Soltanto una notte.»

«Ti prego.»

«E poi domani potremmo portarli a fare un picnic.»

«Se mi hai mai amato...» Teddy poteva vederli sdraiati sulla riva del lago.

«Io ti ho sempre amato, tesoro.»

«Se mi hai mai amato, ti prego, smetti di parlare» disse Teddy.

Voleva andare dai suoi figli, riportarli in vita, portarli via da lì, via da lei.

Dolores appoggiò una mano sulla sua pistola.

Lui mise la mano sopra quella di lei.

«Ho bisogno che mi ami» gli disse Dolores. «Ho bisogno che mi liberi.»

Tirò la pistola, ma lui le tolse la mano. La guardò negli occhi. Erano così luminosi da far male. Non erano gli occhi di un essere umano. Gli occhi di un cane, forse. Di un lupo, probabilmente.

Dopo la guerra, dopo Dachau, aveva giurato che non avrebbe più ucciso a meno che non avesse avuto altre alternative.

A meno che l'altro non gli avesse già puntato addosso la pistola.

Solo in quel caso.

Non poteva sopportare un'altra morte. Non poteva.

Lei strattonò la pistola, gli occhi sempre più luminosi, e lui le tolse di nuovo la mano.

Guardò verso la riva e vide i tre corpi sistemati con ordine, spalla contro spalla.

Tolse la pistola dalla fondina. La mostrò a Dolores.

Lei si morse il labbro, annuendo, e pianse. Poi guardò il tetto del gazebo. «Fingeremo che siano con noi» disse. «Gli faremo il bagno, Andrew.»

E lui appoggiò la canna della pistola sul suo ventre, la mano e le labbra gli tremavano, e disse: «Ti amo, Dolores».

E anche in quel momento, con la pistola contro di lei, era sicuro che non ce l'avrebbe fatta.

Lei abbassò lo sguardo, come fosse sorpresa di essere ancora lì, che lui fosse ancora di fronte a lei. «Ti amo anch'io. Ti amo così tanto. Ti amo come...»

E lui premette il grilletto. Il suono le uscì dagli occhi e un fiotto d'aria le uscì dalla bocca. Lei si mise una mano sul foro del proiettile e lo guardò, tenendogli i capelli stretti nell'altra mano.

E, mentre la vita l'abbandonava, lui l'attirò a sé, lei si accasciò contro il suo corpo e lui la tenne stretta e pianse il suo terribile amore contro la stoffa sbiadita del vestito a fiori.

 

Si sollevò a sedere nel buio e sentì l'odore della sigaretta prima di vedere la brace e, quando la brace rosseggiò, vide Sheehan che fumava e lo osservava.

Si sedette sul letto e pianse. Non riusciva a smettere di piangere. Disse il suo nome. Disse: «Rachel, Rachel, Rachel».

E vide gli occhi di lei che scrutavano le nuvole e i capelli che le fluttuavano intorno al viso.

Quando i singhiozzi convulsi si calmarono, quando le lacrime si asciugarono, Sheehan disse: «Rachel chi?».

«Rachel Laeddis» rispose lui.

«E tu sei...?»

«Andrew» rispose. «Mi chiamo Andrew Laeddis.»

Sheehan accese una piccola luce che rivelò la presenza di Cawley e di una guardia oltre le sbarre della cella. La guardia voltava loro le spalle, ma Cawley guardava verso di lui, con le mani sulle sbarre d'acciaio.

«Perché sei qui?»

Lui prese il fazzoletto che Sheehan gli stava porgendo e si asciugò il viso.

«Perché ti trovi qui?» ripeté Cawley.

«Perché ho ucciso mia moglie.»

«E perché l'hai fatto?»

«Perché lei aveva ucciso i nostri bambini e aveva bisogno di trovare la pace.»

«Sei un agente federale?» domandò Sheehan.

«No. Un tempo lo ero. Ora non lo sono più.»

«Da quanto tempo sei qui?»

«Dal 3 maggio del '52.»

«Chi era Rachel Laeddis?»

«Mia figlia. Aveva quattro anni.»

«Chi è Rachel Solando?»

«Non esiste. L'ho inventata io.»

«Perché?» domandò Cawley.

Teddy scosse la testa.

«Perché?» insistette Cawley.

«Non lo so, non lo so...»

«Sì che lo sai, Andrew. Dimmi perché l'hai inventata.»

«Non posso.»

«Puoi.»

Teddy si afferrò la testa e si mise a ondeggiare. «Non farmelo dire. Ti prego. Ti prego, dottore.»

Cawley strinse le sbarre della cella. «Ho bisogno di sentirtelo dire, Andrew.»

Teddy lo guardò ed ebbe voglia di scattare in avanti e di staccargli il naso a morsi.

«Perché» disse, e poi si interruppe. Si schiarì la gola, sputò sul pavimento. «Perché non posso sopportare di sapere che ho lasciato che mia moglie uccidesse i miei bambini. Ho ignorato tutti i segnali. Ho tentato di far finta di niente nella speranza che se ne andassero. Li ho uccisi io, perché non ho chiesto aiuto per lei.»

«E...?»

«E saperlo è troppo. Non posso vivere con questa consapevolezza.»

«Però devi. Te ne rendi conto.»

Lui annuì. Si tirò le ginocchia vicino al petto.

Sheehan si voltò a guardare Cawley alle sue spalle. Cawley teneva lo sguardo fisso nella cella. Si accese una sigaretta. Continuò a osservare Teddy.

«È questa la mia paura, Andrew. Ci siamo già passati. Abbiamo avuto questo stesso risultato nove mesi fa. E poi sei regredito. Alla svelta.»

«Mi dispiace.»

«Lo apprezzo,» disse Cawley «ma al momento non posso accettare le tue scuse. Abbiamo bisogno di sapere che hai accettato la realtà. Nessuno di noi può permettersi un'altra regressione.»

Teddy guardò Cawley, quell'uomo troppo magro con larghe borse scure sotto gli occhi. Quell'uomo che era venuto a salvarlo. Quell'uomo che poteva essere l'unico vero amico che avesse mai avuto.

Vide il suono della sua pistola negli occhi di lei, sentì i polsi bagnati dei suoi figli mentre glieli posava sul petto e vide i capelli di sua figlia mentre, con una carezza, glieli scostava dal viso.

«Non regredirò» disse.. «Mi chiamo Andrew Laeddis. Ho ucciso mia moglie Dolores nella primavera del '52...»

 

25

 

Quando si svegliò, il sole entrava nella stanza.

Si sollevò a sedere sul letto e guardò verso le sbarre, ma le sbarre non c'erano.

C'era solo una finestra, più bassa di quello che avrebbe dovuto essere, finché non si rese conto di essere in alto, sulla cuccetta più alta della stanza che divideva con Trey e Bibby.

La stanza era vuota. Saltò giù dalla branda, aprì l'armadio, vide lì i suoi vestiti, freschi di lavanderia, e li indossò. Si avvicinò alla finestra e guardò il complesso ospedaliero: vide pazienti, inservienti e guardie in ugual numero, alcuni a passeggiare di fronte all'ospedale, altri che continuavano le pulizie, altri ancora che si occupavano di ciò che restava dei cespugli di rose vicino al muro dell'edificio.

Si osservò le mani mentre si allacciava la seconda scarpa. Ferme e salde come roccia. La sua vista era acuta come quando era bambino, e la sua testa anche.

Uscì dalla stanza, scese le scale e uscì all'aperto. In corridoio, oltrepassò l'infermiera Marino. Lei gli rivolse un sorriso e disse: «Buongiorno».

«Una giornata bellissima» rispose lui.

«Meravigliosa. Credo che la tempesta abbia scacciato definitivamente l'estate.»

Si sporse sulla balaustra e guardò il cielo azzurro come gli occhi di un bambino.

Nell'aria poteva sentire l'odore fresco e frizzante che mancava da giugno.

«Goditi la giornata» disse l'infermiera Marino, e lui rimase a osservarla mentre si allontanava nel portico. Pensò che forse era un buon segno che riuscisse a godersi il suo ancheggiare.

Uscì in giardino e oltrepassò alcuni inservienti che occupavano il loro giorno libero lanciandosi una palla da baseball. Lo salutarono e dissero: «Buongiorno» e lui li salutò e disse: «Buongiorno».

Udì la sirena del traghetto che si avvicinava al pontile, e vide Cawley e il guardiano che parlavano al centro del prato di fronte all'ospedale. Lo salutarono con un cenno del capo e lui rispose allo stesso modo.

Si sedette sull'angolo della scalinata dell'ospedale, guardò l'edificio e scoprì di sentirsi bene come non si sentiva da tempo.

Ecco.

Prese la sigaretta e se la mise tra le labbra, si sporse verso la fiamma e sentì la tipica puzza di benzina dello Zippo prima che qualcuno lo chiudesse di scatto.

«Come andiamo stamattina?»

«Bene. Tu?» Aspirò il fumo.

«Non mi lamento.»

Notò Cawley e il guardiano che li osservavano.

«Abbiamo mai scoperto che cos'è quel libro che il guardiano si porta sempre dietro?»

«No. Mi sa che andremo nella tomba senza saperlo mai.»

«Questo è un vero peccato.»

«Forse ci sono delle cose, su questa terra, che non dobbiamo sapere. Mettila in questo modo.»

«Una prospettiva interessante.»

«Be', io ci provo.»

Fece un altro tiro dalla sigaretta e notò quanto dolce fosse il sapore di quel tabacco.

Era più ricco e gli restava aggrappato al fondo della gola.

«Quindi quale sarà la nostra prossima mossa?» domandò.

«Dimmelo tu, capo.»

Sorrise a Chuck. Erano lì, loro due, seduti al sole del mattino, prendendosela comoda, fingendo che ogni cosa andasse per il meglio.

«Dobbiamo trovare un modo per andarcene da quest'isola» disse Teddy. «E riportare il culo a casa.»

Chuck annuì. «Immaginavo che avresti detto qualcosa del genere.»

«Qualche idea?»

«Dammi un minuto» disse Chuck.

Teddy annuì e appoggiò la schiena ai gradini. Aveva un minuto da dare a Chuck. Magari anche più di uno. Guardò Chuck sollevare la mano e scuotere la testa al tempo stesso, poi vide Cawley rivolgere un cenno di risposta. Poi Cawley disse qualcosa al guardiano e i due attraversarono il prato, dirigendosi verso Teddy, con quattro inservienti che li seguivano da vicino, e uno degli inservienti aveva in mano un fagotto bianco, una specie di tessuto. Teddy credette di aver visto un baluginio metallico quando l'inserviente lo srotolò e lo espose per un attimo ai raggi del sole.

«Non saprei, Chuck» disse. «Credi che siano sulle nostre tracce?»

«Ma figurati...» Chuck rovesciò la testa all'indietro, strizzando leggermente gli occhi al bagliore del sole, poi sorrise a Teddy. «Siamo troppo furbi.»

«Già» disse Teddy. «Lo siamo, vero?»

 

Ringraziamenti

 

Ringrazio Sheila, George Bick, Jack Driscoll, Dawn Ellenburg, Mike Flynn, Julie Anne McNary, David Robichaud e Joanna Solfrian.

Per la scrittura di questo romanzo sono stati indispensabili tre testi: Boston Harbor Islands di Emily e David Kale, Gracefully Insane,la storia dell'ospedale McLean di Alex Beam, e Mad in America di Robert Whitaker che documentava l'uso dei neurolettici sugli schizofrenici nelle cliniche psichiatriche americane. Devo tantissimo a tutti e tre i libri per i loro importanti reportage.

Come sempre, ringrazio la mia editor, Claire Wachtel (tutti gli autori dovrebbero essere così fortunati), e la mia agente, Ann Rittenberg.

 

FINE